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Questo articolo è stato pubblicato il 01 maggio 2013 alle ore 09:45.
L'ultima modifica è del 01 maggio 2013 alle ore 09:55.

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Forse un giorno dovremo ringraziare la Grande recessione. Nel mondo ha costretto a cercare nuove vie per sostenere l'economia. In Europa ha forzato il passo dell'integrazione creando una "scatola degli attrezzi" (Efsf, Esm, unione bancaria, Six pack, Fiscal compact) più nutrita e fornita di prima.

In Italia ha gettato un sasso nell'acqua stagnante della politica e spinto verso nuove agglomerazioni...
Forse, si è detto. Beninteso, molto può ancora andar storto. Le "nuove vie" della politica monetaria nel mondo - inondare di liquidità le economie in crisi - sono solo sperimentali e potrebbero un giorno rivelarsi inutili, se non dannose. In Europa la "scatola degli attrezzi" ne contiene alcuni ancora incompleti, a cominciare dall'unione bancaria, mentre altri - specialmente le tenaglie dell'austerità - mostrano tutti i propri limiti; e in ogni caso questi nuovi passi dell'integrazione sono stati accompagnati da antagonismi degni dei polli di Renzo. Mentre in Italia la ricomposizione delle forze politiche in corso si avventura per terre ancora incognite (hic sunt leones).

Ma è equo dire che molti di questi cambiamenti contengono più fondate speranze che minacciosi trabocchetti. E fra i motivi di ottimismo c'è senz'altro il nuovo cammino intrapreso dalle Banche centrali con le loro politiche "non-convenzionali". L'esortazione a non aver paura della creazione di liquidità (già formulata su queste colonne - vedi Il Sole-24 Ore del 15-6-2011) veniva da lontano, da due giganti del pensiero economico come John Maynard Keynes e Milton Friedman: seppellite sacchetti di banconote e poi dite ai cittadini di scavare, scrisse Keynes; mandate in giro elicotteri che facciano cascare dal cielo pacchi di soldi, rincarò Friedman. Le architetture teoriche che stavano dietro queste due "raccomandazioni" erano diverse, ma la sostanza era la stessa: nella lettera o nello spirito erano misure di politica di bilancio finanziate col torchio.

Le Banche centrali in giro per il mondo hanno molto da farsi perdonare. Quando il maglio della Grande recessione colpì l'economia mondiale, l'epicentro del terremoto stava in quella cerniera fra carta e lamiera, fra finanza ed economia reale che doveva essere presidiata dalle Banche centrali. Tuttavia, dopo aver recitato - almeno nel caso della Fed - un doveroso mea culpa, queste si sono rimboccate le maniche. Hanno fatto lavorare il torchio (elettronico) creando liquidità su scala planetaria: gli attivi delle Banche centrali hanno raggiunto misure (in dollari) non lontane da quelle (in miglia) finora riservate per descrivere la distanza fra la Terra e Proxima Centauri. La Fed compra titoli del Tesoro Usa e poi gli restituisce gli interessi sotto forma di utili della Fed stessa. La Banca del Giappone compra a man bassa titoli corti e lunghi del governo giapponese a tassi prossimi allo zero.

E l'inflazione? E l'azzardo morale? La prima, semplicemente, non c'è (naturalmente, i benpensanti dicono che è sempre dietro l'angolo). Ma le Banche centrali possono creare e possono distruggere, possono innaffiare e possono prosciugare. E possiamo essere sicuri che non hanno certo rinunciato al loro mandato, che è quello della stabilità della moneta. L'azzardo morale (è troppo facile spendere se si attingono i soldi dal pozzo di San Patrizio della creazione di moneta) esiste, ma deve essere temperato dalle circostanze: quando la casa brucia non è il caso di rinunciare all'intervento dei pompieri perché bisogna dare una lezione a quelli che fumano a letto... Purtroppo le memorie del passato (leggi iperinflazione di Weimar...) hanno portato a proibizioni (leggi il divieto di Maastricht al finanziamento dei governi da parte della Bce) che non stanno in piedi: come ha detto un insigne economista, Willem Buiter, «Solo perché lo strumento può essere abusato non vuol dire che non bisogna usarlo. Nell'acqua si può annegare, ma questo non vuol dire che non se ne possa bere un bicchiere quando preme la sete».

Le azioni della Banca del Giappone sono esemplari al riguardo. La stabilità della moneta deve agire nei due sensi: se i prezzi scendono bisogna contrastare la deflazione. E la "Abenomics" sta funzionando: il tasso di disoccupazione è sceso (al 4,1%) e i giapponesi tornano a spendere (i consumi delle famiglie a marzo sono saliti del 5,2% reale sull'anno). La Bce non ha la libertà di azione della Fed e della Banca del Giappone, a causa di limitazioni statutarie e della necessità di tenere assieme i 17 paesi che siedono nel suo consiglio. Grazie all'abilità di Mario Draghi si è mossa tuttavia di concerto alle sue consorelle, ma la "Abenomics" non può attecchire nell'Eurozona. Dovremo cavarcela da soli.

fabrizio@bigpond.net.au
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