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Questo articolo è stato pubblicato il 01 maggio 2013 alle ore 09:40.
L'ultima modifica è del 01 maggio 2013 alle ore 09:58.

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Conti pubblici in ordine e riforme strutturali per ricostruire la competitività del sistema-paese: sono questi i due ingredienti fondamentali della crescita economica secondo il duo Merkel-Schäuble. Lo ripetono da mesi il cancelliere tedesco e il suo ministro delle Finanze. Monotoni, irremovibili.
Angela Merkel lo ha ribadito ieri a Berlino anche a Enrico Letta, sia pure con toni forse un po' meno perentori del solito: «Consolidamento dei conti e crescita non sono in contrasto tra loro. Ma il fiscal compact non è tutto, le politiche devono portare lavoro in Europa. L'obiettivo della competitività e delle riforme strutturali è fondamentale».
Prematuro scommettere su una cauta apertura di credito all'Italia, prematuro perché in campagna elettorale il cancelliere, che vuole ottenere in settembre il suo terzo mandato, non può permettersi di scostarsi troppo dalla politica rigorista che tanto piace al suo elettorato. Però tra le pieghe di parole che restano ortodosse, come nei meandri delle regole dei patti europei, si possono trovare quei margini di flessibilità che il neo-presidente del Consiglio è andato a cercare a Berlino. Quali saranno i possibili spazi di manovra però sarà tutto da vedere. E, c'è da giurarci, da negoziare con le unghie e con i denti.
Ci hanno provato in molti, prima di Letta, a scalfire i dogmi tedeschi guardandosi bene naturalmente dall'evocare Keynes e politiche di deficit-spending. Limitandosi a produrre fatti concreti: cioè la prova provata che, dalla Grecia al Portogallo, dalla Spagna all'Italia passando per Cipro, la terapia del rigore eccessivo e a senso unico non funziona, perché invece di abbattere moltiplica i debiti in quanto deprime la crescita economica alimentando una infinita spirale perversa.


E se non bastassero un biennio di recessione, che ora comincia a lambire la Germania, quasi 20 milioni di disoccupati (12% della forza lavoro) e i crescenti rischi di rottura del consenso politico e sociale in democrazie stressate dall'indigestione di tagli e austerità, a dire che il verbo tedesco della stabilità vada almeno rimodulato sono anche i risultati delle ricette degli altri in giro per il mondo. Grazie a una politica monetaria decisamente espansiva, la crescita americana è all'1,9% con i disoccupati al 7,6%, quella giapponese supera l'1% con i senza lavoro al 4,3% pur con fondamentali economici decisamente peggiori di quelli europei. Un dato per tutti: il debito Usa supera il 100% del Pil, quello nipponico il 200% contro la media euro del 95.
Non appena incassata la fiducia in Parlamento, a sottolineare una volta di più che Europa e crescita sono le assolute priorità, Letta è volato a Berlino, prima tappa del viaggio che oggi lo porterà a Parigi e poi a Bruxelles. Quindi settimana prossima a Madrid. È andato subito nella tana del "lupo" senza propositi eversivi e men che meno con l'illusione di trasformarlo, come S.Francesco, in un agnello. Puntando sull'uso della flessibilità che esiste nei patti europei ed è già stata usata a beneficio di Grecia, Portogallo, Spagna e Francia, adducendo le ragioni del buon senso nel nome del superiore interesse comune europeo nel quale rientra anche quello italiano più immediato. Alla ricerca di una vitale boccata di ossigeno.
«L'Italia sta morendo di austerità, le politiche per la crescita non possono attendere» ha spiegato Letta alla Merkel. «Quel che accade in Italia sta accadendo dovunque in Europa. O c'è un comune destino europeo oppure alla fine ciascun Paese declinerà il proprio». La recessione più lunga e aspra dal dopoguerra, disoccupati al record da 20 anni, de-industrializzazione strisciante, imprese in ginocchio, emergenza sociale verso il limite di tolleranza. Ciò nonostante l'Italia ha fatto la sua parte come e meglio di altri: deficit al 3% nel 2012, accompagnato da un surplus primario senza uguali nell'Eurozona. Il debito salito al 127% ma anche perché l'Italia ha dovuto come tutti a fare la sua parte finanziando i Fondi salva-Stati.
L'Italia ha buone argomentazioni a supporto della causa, non ultima la sua dimensione di terza economia dell'euro, quindi con una potenziale carica destabilizzante che non conviene a nessuno scatenare con pressioni irragionevoli e insostenibili. Prima che scommettendo su una "santa alleanza" mediterranea, il Governo Letta spera di carburare la crescita giocando su tre fronti: pagamento alle imprese dei 90 miliardi di debiti pregressi della pubblica amministrazione, scomputo dal calcolo del deficit degli investimenti produttivi, un terreno che però resta molto più minato del primo, e infine su un ammorbidimento, complice la recessione, degli impegni di riduzione annua del debito (40 miliardi) che scatteranno dall'anno prossimo. La missione di Letta a Berlino è stata un primo passo e un buon esordio perché il neo-premier non ha parlato solo italiano ma europeo, non ha contraddetto le ragioni della Merkel ma ha cercato di far capire quelle italiane. Che poi sono anche quelle degli altri europei.
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