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Questo articolo è stato pubblicato il 05 maggio 2013 alle ore 18:25.
L'ultima modifica è del 05 maggio 2013 alle ore 17:03.

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(Afp)(Afp)

Dopo quello della rinascita, ecco lo scudetto della consapevolezza. Mai stato in discussione neanche per un attimo. Una superiorità schiacciante, dalla prima all'ultima giornata. Qualche accenno di stanchezza fisiologica di cui nessuno è mai stato in grado di approfittare e che non ha impedito il raggiungimento del titolo di campione d'inverno, qualche debole spiraglio per sognatori incrollabili ma la sostanza è quella di uno scudetto strameritato per forza, continuità e convinzione. Anche stavolta passando attraverso la buriana, perché così è più bello. La lunga squalifica di Conte, condottiero di ferro, avrebbe spezzato le ali a una squadra meno convinta e meno sicura dei propri mezzi. La Juventus, invece, anche da qui è riuscita a succhiare linfa vitale. Rabbia da trasformare in benzina, umiliazione da trasformare in orgoglio, problema da trasformare in motivazione. Se sia più o meno bello di quello dello scorso anno, questo secondo scudetto consecutivo, è una questione di lana caprina. Come chiedere a un bambino se vuol più bene al papà o alla mamma. Se sia il 29esimo o il 31esimo è un gioco delle parti, ovvio che le due scuole di pensiero non si incontreranno mai e tutto sommato importa ben poco se non per gli almanacchi. I numeri che contano sono altri e sono quelli che fotografano un dominio. Contano le tre giornate di anticipo, gli 83 punti conquistati fin qui, le 26 vittorie a fronte di 4 sconfitte. Certo lo scorso anno è rimasta imbattuta ma ha pareggiato di più, e lo scudetto se lo è cucito sulla magia una giornata più tardi. Dettagli. Sarebbe bastato un punto col Palermo per festeggiare il traguardo. Ne sono arrivati tre, con il minimo sforzo, un rigore trasformato da Vidal, uno dei tanti uomini simbolo di questo scudetto per il quale i bianconeri non devono ringraziare un bomber di razza da trenta gol a stagione ma tutti quelli che a vario titolo hanno sopperito alla sua mancanza. Non è una Juve da top player: i pochi che potrebbero forgiarsi di questo appellativo sono prossimi alla pensione, da Buffon a Pirlo. Sono stati chiocce per le nuove leve e grandi punti di riferimento per compagni affermati che non si sono mai seduti sugli allori, perché con Conte, si sa, o lavori duro o non è aria. È migliorata strada facendo la difesa, che con Chiellini, Barzagi e Bonucci è diventata una macchina quasi perfetta, è migliorato il centrocampo che con uomini come Asamoha, Marchisio, Vidal, Pirlo e Pogba ha trovato i gol che sono mancati a un attacco meno prolifico del previsto. Tutti per uno, uno per tutti. È così che si vince, e così è andata.

Alle altre non resta che applaudire e giocare un altro campionato. Il Napoli nel suo piccolo ha vinto il suo consolidando un secondo posto che vale l‘accesso diretto in Champions League. Lo ha fatto nel modo migliore ieri sera, sotterrando l'Inter sotto la sua montagna di problemi e ritrovando lo smalto migliore di Cavani, che con tre gol ha archiviato la sua fase di appannamento. Ma è primavera anche per altri grande bomber della serie A: i cinque gol di Klose contro il Bologna, la tripletta di Bergessio che affonda il Siena, la preziosissima doppietta di Borriello che piega il Pescara e restituisce speranze al Genoa e quella di Di Natale contro una Samp allo sbando. Per i piazzamenti europei si definiscono le gerarchie: il Milan tiene il suo passo battendo il Torino, di misura, con Balotelli mentre la vittoria della Roma a Firenze con gol di Osvado rinfranca le ambizioni europee giallorosse e la corsa coi viola è ancora avvincente. Sampdoria e Toro, belle serene fino a poche settimane fa, non vincono più ipoteticamente sono ancora coinvolte nella lotta salvezza con Genoa e Palermo. Gli ultimi punti in palio potrebbero ancora sparigliare le carte anche se i siciliani, con 32 punti sono più vicini al baratro.

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