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Questo articolo è stato pubblicato il 05 maggio 2013 alle ore 08:28.
L'ultima modifica è del 05 maggio 2013 alle ore 14:59.

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In una situazione di trappola della liquidità, abbassare i tassi di interesse di per sé non serve a nulla, ma può essere un tassello di una strategia che pungoli le banche a funzionare meglio. La Bce di Draghi ha definito tale strategia, in cui le "punture" alle banche sono almeno tre: l'allungamento dell'orizzonte temporale della liquidità a rubinetto - 2014 - toglie alle banche una scusa per giustificare la propria avversione al rischio; la riduzione del tasso di interesse minaccia di ridurre ulteriormente i guadagni delle banche, creando un incentivo ad aumentare i volumi; l'ipotesi della creazione di un mercato delle cartolarizzazioni è un invito/minaccia alle banche ed ai loro governi di riferimento ad avere un atteggiamento attivo ripreso al tema del congelamento del mercato della liquidità, su cui la Bce non può assumersi quei rischi che altre banche centrali - come la Fed - si stanno prendendo.
Mario Draghi ha comunicato che il consiglio della Bce ha preso due decisioni sulla liquidità - riduzione del tasso di interesse sul rifinanziamento e mantenimento almeno fino al 2014 di aste a rubinetto - e formulato un auspicio sul mercato delle cartolarizzazioni. Tre orientamenti per affermare che la politica monetaria continua a mantenersi espansiva.

In termini di tassi di interesse, l'orientamento della Bce continua in effetti ad essere espansivo, anche se lo è meno dei passati trimestri, se si tiene conto del rallentamento sia dell'economia che dei rischi inflazionistici. Simulando l'andamento "normale" - ante crisi - dei tassi per l'area euro - con i dati di consuntivo, nel 2012 il differenziale tra i tassi normali e quelli effettivamente applicati dalla Bce - lo "spread al ribasso" - è stato in media di 270 punti base. Con gli ultimi dati sull'inflazione europea, anche con l'abbassamento di 25 punti base del tasso di rifinanziamento, lo "spread al ribasso", si è ridotto a 85 punti base. Da qui le critiche per un abbassamento timido - too small - e comunque ritardato - too late. Diciamolo: oggi "la piazza" chiede alle banche centrali tassi nulli.
Ma la prudenza della Bce ha una robusta spiegazione: in una situazione di trappola della liquidità, l'abbassamento dei tassi di per sé non serve a nulla in termini di stimolo diretto per gli investimenti produttivi, ma può avere solo effetti collaterali indesiderati. La Bce ha ricordato che le massicce iniezioni di liquidità dei mesi scorsi hanno gonfiato la domanda dei titoli azionari e dei titoli pubblici, ma non hanno portato sollievo ai mercati che contano per una crescita sana e duratura: quelli del credito per le imprese, soprattutto medie e piccole.

Perché il mercato del credito è congelato? Da lato della domanda, le imprese temono l'incertezza e l'eccesso di indebitamento accumulato negli anni scorsi. Dal lato delle banche, permane una forte avversione al rischio, che si traduce in una bassa propensione a prestare. In questa situazione, di per sé l'abbassamento dei tassi - anche a zero e per un periodo di tempo illimitato - non serve a nulla, anzi. Ciascuna impresa, finché non vede segnali credibili, non si muove; lo stesso fa ciascuna banca, anzi affrontando maggiori difficoltà reddituali, se dà peso al credito commerciale. Tassi bassi per periodi illimitati aggravano la stagnazione del credito.
La Bce cerca allora di rivitalizzare il mercato del credito con tre mosse. Innanzitutto, viene esteso - ma comunque definito - il periodo di garanzia per le provviste di liquidità da parte delle banche. In secondo luogo, i tassi si abbassano, mantenendo spazi per ulteriori riduzioni, ed anche per ipotesi di tassi nominali negativi sui depositi delle banche presso la Bce. Sono manovre che ridurrebbero ulteriormente i ricavi unitari dall'attività di intermediazione, e che possono incentivare le banche ad essere più attive nella ricerca dei volumi, quindi nell'aumento del credito.

Ma qui la zavorra è rappresentata dalla rischiosità che oggi il credito commerciale presenta, che si può cristallizzare nella bassa qualità del credito, quindi nei vincoli imposti dalle esigenze di capitalizzazione e di liquidità. Qui emerge una seconda richiesta della "piazza": occorre un intervento dello Stato per pulire i bilanci bancari. La Bce è stata molto chiara: è fuori dal suo perimetro istituzionale il compito di pulire i bilanci bancari. Qui la critica è quasi pavloviana: la Fed lo ha fatto, le banche adesso sono risanate, e il governo federale ci sta anche guadagnando. Ma rispetto al caso Fed esistono una differenza istituzionale ed una obiezione strutturale. La differenza istituzionale è che la Fed può assumersi tutti i rischi che vuole - sia in termini di dimensione del suo bilancio che di sua rischiosità - perché alle sue spalle c'è un prestatore omogeneo e legittimato: il contribuente americano. Alle spalle della Bce non c'è né la stessa omogeneità né la stessa legittimità: la Bce assumerebbe una funzione di assunzione e distribuzione del rischio assolutamente impropria.
L'obiezione strutturale è che ogni soluzione sistemica ha guadagni di breve - soprattutto per i banchieri salvati o ripuliti - ma può creare anche pesanti distorsioni, sia in termini concorrenziali che di redistribuzioni di risorse. Del rischio di tali distorsioni può rispondere un governo nazionale ai suoi elettori, non certo una banca centrale - come la Bce - senza "governo". Non meravigli quindi che la Bce non possa, non debba, e forse anche non voglia, impegnarsi subito e direttamente in una attivazione del mercato delle cartolarizzazioni. Altri sono gli attori - privati e pubblici, europei e nazionali - che dovrebbero essere messi - e non da oggi - come minimo nella palude Stigia.

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