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Questo articolo è stato pubblicato il 10 maggio 2013 alle ore 07:51.

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Non poteva andare peggio di così. Il primo consiglio dei ministri dedicato ai temi economici si è chiuso con un nulla di fatto. Non che sul piatto ci fossero norme epocali: un semplice rinvio di tre mesi del pagamento dell'imposta sulla prima casa, la copertura tampone per un miliardo della Cassa integrazione in deroga e un simbolico taglio agli stipendi dei ministri. Ma neppure questo è stato fatto.

Dal Governo che deve far uscire il Paese dall'emergenza era legittimo aspettarsi di più. Per parlare di delusione è forse presto. Ma di certo è bene che si cambi passo rapidamente. Con i ritiri nella campagna toscana, di certo, posti di lavoro non se ne creano e non si salva neppure una delle decine di aziende che falliscono ogni giorno. Se si vuole davvero rilanciare l'economia serve un metodo, servono scelte rapide e coraggiose, all'interno di un strategia complessiva di discontinuità rispetto al passato.
È positivo in questo senso il cambio in corso ai vertici delle strutture del ministero dell'Economia. Era un impegno che questo giornale aveva chiesto al nuovo Governo il giorno stesso della fiducia: si sta facendo. Bene. Ma sono anni - con forse la brevissima parentesi dei primi mesi del governo Monti - che l'attività di governo si è esaurita in interventi rapsodici, con misure confuse e via via modificate, con coperture improvvisate e ad alto tasso di creatività.

Per uscire dalla crisi più grave del dopoguerra, occorre invece recuperare un vero disegno per la crescita fatto di interventi legislativi coordinati, che non rinviino a una pletora di provvedimenti attuativi e che siano finanziati con scelte chiare e ambiziose.
Sulla Cig, per esempio. Va bene trovare subito un miliardo per far fronte all'emergenza, ma sarebbe molto meglio arrivare presto a definire un riordino complessivo del sistema di finanziamento della cassa integrazione. Non si può continuare a chiudere gli occhi davanti a un sistema a trazione regionale dove le risorse si disperdono in rivoli non sempre legati all'obiettivo vero della protezione dei lavoratori in difficoltà.
Allo stesso modo urge una strategia complessiva sul fisco per la crescita.
La discussione in cui ci si è infilati sull'Imu (che per ora non si è riusciti neppure a rinviare) è mortificante. Innanzitutto perché, come il Sole 24 Ore ha evidenziato, ignora che a giugno le attività produttive pagheranno comunque la tassa su capannoni e immobili commerciali, e pagheranno molto caro. Ma perché il tema fiscale andrebbe impostato in un'ottica generale di rilancio dell'occupazione e dello sviluppo.
Può anche essere che togliere l'Imu sulla prima casa contribuisca a far superare agli italiani quella sfiducia che contribuisce oggi alla recessione, ma non si può non discutere questo intervento insieme ai necessari tagli del prelievo record che oggi grava sulle buste paga, rendendo le imprese meno competitive e i lavoratori più poveri.
Così come non si può ignorare il grande tema del credito d'imposta per rilanciare gli investimenti in ricerca, in innovazione, in infrastrutture. Oppure quello di un fisco in grado di favorire l'internazionalizzazione delle imprese o di rafforzarne la capitalizzazione.

Tutto avendo ben chiaro il problema complessivo delle coperture. Rimodulazione dei fondi europei, tagli alla spesa improduttiva, riduzione del perimetro dello Stato, dismissioni immobiliari, risparmi sugli interessi sul debito: si individuino le fonti di finanziamento e si presenti un piano trasparente di intervento.
Per troppi anni la politica debole ha rinunciato a svolgere il suo ruolo. Oggi forse è più debole che mai. Ma paradossalmente questa può anche essere la forza di Enrico Letta: quando si tocca il fondo è il momento del colpo di reni.

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