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Questo articolo è stato pubblicato il 15 maggio 2013 alle ore 06:55.
La vera difficoltà in cui versa l'Unione europea deriva dalla metamorfosi che ha subito nella sua natura essenziale: da assetto istituzionale volto ad impedire che gli squilibri di potenza in Europa mettessero a rischio l'armonia continentale a moltiplicatore degli squilibri medesimi, sia pure oggi declinati in termini innanzitutto economico-finanziari piuttosto che politico-militari. Per molti aspetti l'euro rappresenta la metafora perfetta di una simile trasformazione.
Concepito per evitare una nuova egemonia della Germania ha finito per ratificarla, amplificandola. Si è trattato di una metamorfosi graduale, ma difficilmente reversibile, avviatasi con l'evoluzione del quadro strategico internazionale che l'Unione ha dovuto affrontare con la fine della Guerra fredda e la riunificazione tedesca. Di modifica in modifica, di trattato in trattato, la natura dell'Unione è cambiata, spesso senza un disegno preciso ad orientarla, e però non di meno verso una direzione univoca: un'Unione in cui la rinnovata preponderanza tedesca si è avvicinata ad assumere i tratti della supremazia. Due passaggi sono stati decisivi in tal senso: da un lato il progressivo abbandono delle decisioni consensuali a favore di quelle a maggioranza con le relative geometrie variabili, dall'altro i compiti (e soprattutto i limiti) assegnati alla Bce per il governo della nuova moneta. Nel nome delle necessità di funzionamento di un'Unione allargata, la possibilità di decidere a maggioranza e non più all'unanimità ha consentito agli Stati più potenti di aggregare intorno a sé coalizioni in grado di imporre ai recalcitranti la propria volontà, così amplificando la differenza tra Stati grandi e piccoli. Nel nome del rigore finanziario e della lotta all'inflazione si è realizzata un'unione monetaria che ha rafforzato, anziché attenuato, le conseguenze della preponderanza tedesca sbaragliando innanzitutto gli altri grandi competitors.
In tal modo si è violato il principio che aveva reso possibile il progetto di una costruzione politica di secondo livello come l'Unione: ovvero che tutte le nazioni che la compongono sono uguali e perciò dotate degli stessi diritti e meritevoli dello stesso rispetto. Dopo due guerre mondiali innescate nel corso di un quarto di secolo, a seguito del fallimento della lunga stagione delle politiche di bilanciamento tra le grandi potenze europee, era maturata l'idea che solo incanalandoli e "addomesticandoli" in una architettura istituzionale si sarebbe potuto impedire che i ricorrenti e inevitabili disequilibri di potenza si abbattessero incontrollati sull'ordine europeo. Riconoscere come la Guerra fredda e il ruolo americano avessero facilitato una simile acquisizione, non può consentire di minimizzare la centralità che l'aspirazione alla "pacificazione" franco-tedesca ha avuto nell'idea di Europa unita.
Oggi si può dire che l'Unione e l'euro servano a tutto, tranne che ad attenuare la preponderanza del più forte sul più debole, al punto che gli antichi sospetti, pregiudizi e stereotipi nazionali stanno tornando a gonfiare le vele dei movimenti populisti, xenofobi e antieuropei. Ma a poco serve biasimarli e disprezzarli; ben più opportuno sarebbe invece prendere atto di come la costruzione europea, allontanandosi dalla sua originaria intuizione, stia drammaticamente venendo meno alla sua missione. Che non è quella di costruire un mercato o una moneta unica: ma di rendere possibile e reciprocamente conveniente la pacifica collaborazione tra popoli e nazioni differenti che non diventeranno mai "un" popolo solo, né potranno mai dar vita a nulla di analogo agli Stati Uniti d'Europa. Ecco perché anche l'ipotesi di un generico spostamento ulteriore di potere verso il centro "federale" della Ue rappresenta poco più di un generico "mantra", se non è accompagnato dall'indicazione di come si intenda ripristinare il necessario equilibrio politico-istituzionale tra i suoi membri. Tutto questo non per assecondare l'orgoglio o la grandeur di questo o quello Stato, ma per chiarire che i bisogni e le aspirazioni di ogni popolo europeo torneranno a trovare la medesima attenzione e tutela.
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