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Questo articolo è stato pubblicato il 17 maggio 2013 alle ore 21:10.

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(Marka)(Marka)

Un manipolo di hacker che operava all'ombra del movimento internazionale di Anonymous, riuscendo a "bucare" sistemi informatici del governo italiano e del Vaticano. È il nuovo capitolo della cyberguerra, dove i pirati italiani del web escono sconfittì dall'operazione della polizia postale che ha arrestato quattro persone. Gli incursori degli attacchi informatici erano un uomo di 34 anni della provincia di Lecce, un ventenne di Bologna, un 28enne del Veneziano e un venticinquenne della provincia di Torino. L'accusa è di associazione a delinquere. Altre sei persone sono state invece denunciate.

Ma la Rete è già in rivolta e per gli arrestati è stata organizzata una donazione per il supporto legale attraverso un sito internazionale e centinaia di commenti di solidarietà su Twitter attraverso l'hashtag #Freeanons.

È stata una caccia all'ultimo byte tra i pirati senza volto, che ha portato a investigare in diverse città italiane, da Nord a Sud. Sulle loro tracce c'era il Cnaipic, il Centro nazionale anticrimine informatico, che ha fronteggiato Anonymous dal 2011 nell'operazione Tango Down per scovare gli insospettabili che dietro i nickname mandavano in tilt interi sistemi della Rete.

Centinaia di ore a smanettare per trasformare in "zombie" i siti informatici di strutture pubbliche istituzionali e grosse società private. La firma degli hacker, come un beffardo referto del computer appena infettato, era sempre il volto del cospiratore Guy Fawkes, resa celebre dal film "V per Vendetta". E per le aziende erano grossi danni economici.

Così i siti istituzionali spesso cadevano uno dopo l'altro: da quello della presidenza del Consiglio dei ministri a quello del ministero della Difesa, della Polizia di Stato, dei Carabinieri, del corpo delle Capitanerie di Porto e Guardia Costiera, del Comune di Torino, del sindacato autonomo della Polizia Penitenziaria e della Banca d'Italia. Tra le vittime colpite e affondate dagli hacker nelle strutture private, invece, vi sono state Vitrociset, Tribunale di Milano, Enav, Banco di Lucca, Università Luiss, Trenitalia, Equitalia, Enel e Siae.

Dopo il danno ogni volta arrivava la beffa dei pirati, che si ripulivano e in giacca e cravatta si presentavano alle aziende colpite come consulenti informatici per risolvere il loro problema e incassare migliaia di euro di parcella (per cancellare virus che conoscevano bene, perchè li avevano diffusi proprio loro).

Gli hacker dalla faccia pulita lavoravano quindi tutti ufficialmente nel campo informatico e avevano una sorta di doppia vita, anche nei confronti delle proprie famiglie, che erano all'oscuro di tutto. Uno di loro fu anche intervistato dal programma delle Iene nel 2012, mentre spiegava i suoi trucchi con il volto coperto dalla maschera di Guy Fawkes.

Ma - da quanto emerge dalle intercettazioni - tra di loro c'erano correnti diverse, ideologi e pragmatici. Alcuni volevano aderire ufficialmente alle istanze del movimento di Anonymous e creare una sorta di "cellula" di avanguardia. Altri invece avevano solo lo scopo di creare problemi alle aziende, per poi proporsi come soluzione del problema. Una disputa tra hacker interrotta solo dall'esisto dell'operazione Tango Down.

Un plauso per gli arresti di oggi è arrivato dal viceministro dell'Interno, Filippo Bubbico, per il quale «Il web e la sua libertà sono un tema chiave all'interno della nostra società». Ma il web è già in rivolta e la galassia della pirateria informatica annuncia vendetta. Oltre al link internazionale per la donazione di soldi, la solidarietà arriva con centinaia di tweet. «Anonymous reagirà o li lascerà soli?», scrive qualcuno. Molti ripetono il celebre slogan «non si può arrestare un'idea», altri "hacktivisti" dicono: «Per uno che ne prendete se ne generano cento». Tweet rapaci, che gridano "Vendetta".

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