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Questo articolo è stato pubblicato il 18 maggio 2013 alle ore 09:49.

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Nelle malattie più dolorose anche un semplice antidolorifico può dare un grande sollievo. Ma non è con gli analgesici che l'Italia recupererà la sua salute. Perciò certe compiaciute manifestazioni di giubilo nella maggioranza, dopo l'approvazione del decreto che rinvia la rata sull'Imu e tampona con un miliardo l'emergenza lavoro, sono francamente fuori luogo. Il Governo ieri ha comprato tempo. Ma la cura per guarire il malato Italia è ancora tutta da costruire.

Quella cura è fatta - deve essere fatta - di crescita economica, di investimenti, di rilancio delle imprese, di creazione di posti di lavoro. E per metterla in atto non serve l'autocompiacimento, ma piuttosto tanto realismo e tanta ambizione.
Il realismo che deve spingere a non sottovalutare l'importanza degli impegni europei, compreso il vincolo del disavanzo sotto il 3% e, dunque, la possibilità di uscire tra dieci giorni dalla procedura di deficit eccessivo; l'ambizione di sfruttare al massimo tutte le opportunità che proprio l'uscita da quella procedura darà all'Italia, in termini di flessibilità di bilancio e di praticabilità delle misure per la crescita.
Questo è il punto. Immaginare oggi di andare allegramente oltre la soglia del 3% è irrealistico e può essere anche molto dannoso. Ma il Governo dovrà aprirsi tutti gli spazi possibili, sfruttando il nuovo clima europeo e la credibilità a Bruxelles di ministri come Saccomanni e Moavero, per varare una solida strategia di crescita, fondata su un ventaglio di misure ampio e consistentemente finanziato.

Un primo passo, allora, è quello di sfruttare la flessibilità con cui l'Europa valuta gli investimenti pubblici legati al cofinanziamento dei fondi strutturali europei. È una possibilità che si apre all'Italia con la semplice uscita dalla procedura di infrazione. È quasi mezzo punto di Pil, circa 7-8 miliardi che possono essere impiegati subito in infrastrutture di trasporto, in reti energetiche, in ricerca e innovazione.
Ma c'è molto di più che può e deve essere fatto. Questa prima flessibilità, già acquisita, può essere allargata con un'interpretazione più ampia di quelli che i patti europei definiscono come "investimenti pubblici produttivi". Si tratta di andare oltre il semplice cofinanziamento di fondi europei, neutralizzando ai fini del conteggio del deficit, anche alcune tipologie di investimenti nazionali. È possibile. Purché queste spese siano specificamente individuate nella trattativa con Bruxelles e chiaramente indirizzate al fine della crescita. Non, dunque, spesa per coprire i buchi di bilancio di questa o quella utility locale, ma veri investimenti produttivi.

Va poi utilizzato con coraggio lo strumento del credito di imposta. Qui davvero è possibile un cambio di passo rispetto al passato. Ampliare la sfera di applicazione degli sgravi per i nuovi investimenti sia in infrastrutture sia in ricerca e innovazione significa dare benzina agli investimenti privati, senza i quali nessuna strategia di crescita può essere coronata da successo.
Si tratta di cambiare, nella valutazione delle coperture del credito d'imposta, l'impostazione ragionieristica che troppo spesso ha prevalso in questi anni nelle stanze del ministero dell'Economia (e il ricambio in posizioni strategiche, come quella della Ragioneria generale, può essere in questo senso molto utile). Non si può considerare come un mancato introito per l'erario lo sgravio su imposte che, in assenza di investimento, comunque non sarebbero affluite nelle casse dello Stato. È un principio che è tempo di far valere in Italia e in Europa. Se non ora, quando?

Lo stesso meccanismo del credito d'imposta è poi applicabile alle assunzioni dei giovani lavoratori. Qui, per la verità, gli spazi per una politica ambiziosa sono anche maggiori. L'Europa, infatti, riconosce come prima emergenza continentale la disoccupazione giovanile ed è, quindi, pronta a valutare con la massima flessibilità ogni iniziativa diretta alla creazione di occupazione tra i giovani. C'è ampia praticabilità, quindi, in termini di bilancio, per la defiscalizzazione delle nuove assunzioni o della stabilizzazione del lavoro precario.
Come si vede, c'è molto da fare. Anche perché attraverso questa strategia di crescita si potranno aprire, in un circolo virtuoso, nuovi ulteriori spazi di bilancio attraverso la crescita del denominatore nel rapporto deficit/Pil e il rafforzamento delle entrate fiscali. È per questo che bisogna uscire dalla semplicistica ossessione di quel 3 per cento. L'uscita dalla procedura di infrazione ci dà opportunità che altrimenti non avremmo. È bene, però, cominciare a sfruttarle senza timidezze.

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