Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 25 maggio 2013 alle ore 10:15.

My24
L'autore a Band e Amir, la regione dei laghi attornoa cui sorgono le scuole finanziate dal comitato ArgoshaL'autore a Band e Amir, la regione dei laghi attornoa cui sorgono le scuole finanziate dal comitato Argosha

Da nove anni finanzio la costruzione di scuole in Afghanistan, dove mi reco di persona per seguire da vicino la loro realizzazione. Opero nella provincia di Bamiyan, negli altipiani del massiccio dell'Hindu Kush centrale, la cosiddetta valle dei Buddha, (foto 1), quelli distrutti a cannonate dai Talibani nel marzo del 2001. La popolazione, di etnia Hazara (ceppo mongolo) e religione sciita, ha patito più di ogni altra il fanatismo sunnita dei Talibani, che hanno distrutto interi villaggi con esecuzioni di massa.

Forse per questo motivo la regione è rimasta fino a oggi impermeabile ai rigurgiti Talibani. Ciò ha permesso alla mia piccola organizzazione di lavorare con tranquillità e partecipare a un processo di sviluppo che inizia a manifestare visibili effetti.
Dal 2004 quando sono giunto per la prima volta a Bamiyan, grazie all'opportunità offerta a me e mia moglie Maria Rosario da Filippo Grandi, allora delegato in Afghanistan del UNHCR, l'Alto Commissariato per i Rifugiati, la nostra piccola organizzazione, Comitato Arghosha Faraway Schools, ha fatto grandi progressi. Battezzata nel 2005 con il nome della prima scuola, nella remota valle di Arghosha, a 3200m di altezza e a 30 km a nord dei leggendari laghi di Band e Amir, (foto 2) la nostra associazione, oltre al sottoscritto e a Filippo, comprende mia moglie e suo fratello, Paolo Lazzati. In nove anni abbiamo finanziato la costruzione di 8 scuole, con la nona in arrivo quest'autunno, tre corsi di aggiornamento professionale per 300 insegnanti, tre corsi di computer e inglese per 30 ragazze neo-diplomate e realizzato una biblioteca nella piu'grande delle nostre scuole, Chardeh, che ospita oltre 700 ragazze.

Seguiamo un progetto declinato al femminile, poiché su 3.500 allievi che frequentano le scuole, 2.500 sono ragazze, 4 delle 9 scuole che abbiamo costruito sono femminili (le altre sono miste), mentre degli oltre 120 insegnanti che lo stato afghano stipendia nei nostri istituti una trentina sono donne, un livello assai alto per gli standard afghani. Shuhada, la ONLUS afghana che progetta e realizza le scuole, è stata peraltro fondata da una donna, Sima Samar (foto 3), oggi presidente della Commissione Nazionale dei Diritti dell'Uomo in Afghanistan e, in passato, vicepresidente del primo Governo Karzai. L'altro nostro nume tutelare femminile è Habiba Sarabi, Governatrice di Bamiyan, unica donna alla guida di una provincia afghana. Sarabi è una nostra grande sostenitrice: lo scorso 13 aprile, malgrado gli impegni tra Kabul e Bamiyan, è venuta a presenziare all'inaugurazione della nostra ottava scuola a Dar e Ali (foto 4), in una giornata tanto piovosa quanto felice per gli oltre 350 ragazzi che passeranno a studiare da una struttura di fango a una in muratura.

Quest'anno ho deciso di fermarmi piu'a lungo in Afghanistan per capire quanto sono serviti tanti anni d'impegno nell'educazione in questo meraviglioso Paese. Ho infatti avuto ripensamenti, dal momento che i media e gli esperti continuano a martellarci con messaggi negativi sul futuro, in vista del ritiro delle truppe straniere. Abbiamo gettato i soldi in una fornace? Dovevo una risposta ai nostri donatori, dato che abbiamo raccolto e speso in questi anni 1,1 milioni di dollari. E lo dovevo agli afghani: abbiamo infatti coinvolto circa 20mila persone, in massima parte contadini e pastori, mandando a scuola ogni giorno i loro 3.500 ragazzi. Invece di trascorrere in Afghanistan la consueta settimana annuale che coincide con l'inaugurazione di una nuova scuola, questa volta ho preso un mese di vacanza per girare ai quattro angoli della provincia di Bamiyan in visita alle scuole. Ho percorso oltre 1600 km in macchina su strade dissestate, muovendomi tra i 2500m e i 3500m d'altezza, ho volato sulle valli del Hindu Kush in aereo e in elicottero, osservando le coltivazioni e le nuove abitazioni appena costruite. (foto 5). Ho incontrato i principali esponenti della provincia: dalla Governatrice Sarabi, al sindaco di Bamiyan, Khadim Hussein Fitrat, passando per il rettore dell'Università, Sakhidad Saleem, dei giornalisti locali e i responsabili dei vari dipartimenti, dall'Economia, al Lavoro al Turismo e Cultura. Ho incontrato anche il nostro Ambasciatore a Kabul, Luciano Pezzotti, poiché l'Italia ha vari progetti culturali e di cooperazione a Bamiyan, dal restauro dei Buddha, a quello delle rovine della cittadella di Gholghola, passando per alcuni lavori stradali.

Ebbene, dopo tanto peregrinare sono convinto che, malgrado le incertezze e i dubbi, la provincia di Bamiyan sta sviluppandosi nel verso giusto e che il danaro che abbiamo speso è stato il migliore investimento della nostra vita. Il benessere degli abitanti delle valli continua lentamente a migliorare, l'agricoltura nelle zone più ricche inizia a meccanizzarsi, sostituendo i trattori all'aratro di legno. Ovunque spuntano alberi da frutta e depositi in muratura per conservare le patate, note in tutto l'Afghanistan per la loro bontà. Negli ultimi 5 anni a Bamiyan sono sorte 3 banche e una mezza dozzina di alberghi, decisi a intercettare quello che è ancora un flebile flusso di turisti in gran parte afghani. Le mandrie e le greggi crescono a vista d'occhio. Moltissimi possiedono una moto, (foto 6) di marca cinese o iraniana. E' ormai rarissimo incontrare bambini scalzi nei villaggi, mentre dieci anni fa erano la maggioranza. Tutti gli adulti hanno scarpe di buona qualità. In molte scuole le ragazze delle classi superiori, che una volta si coprivano il volto e abbassavano lo sguardo, oggi, pur rimanendo a capo coperto, ti guardano fisso negli occhi e fanno domande dirette. In una scuola si sono perfino lamentate della cattiva qualità degli insegnanti d'inglese e mi hanno chiesto se potevo trovarne di migliori, magari di lingua madre… (foto 7) Se chiedi ai giovani delle classi superiori cosa vogliono fare da grandi, tutti parlano di Università. In una scuola, a Zarin, (foto 8) le ragazze hanno messo in chiaro che non hanno alcun problema ad andarsene a studiare lontano, nelle grandi città, come Kabul, Mazar, Herat o perfino Kandahar, che è a infiltrazione Talibana. La maggioranza degli studenti vuole diventare dottore o insegnante e anche il lavoro di ingegnere è assai richiesto: capita spesso di sentire i bambini gridare in coro "inginaar", un termine che per loro ha a che fare con tutto quello che è moderno, dai motori, ai ponti, ai canali nei campi (foto 9). Le ragazze in questi ultimi anni hanno alzato la testa: per quanto sobriamente, ora curano l'estetica, sfoggiando borsette e scarpe eleganti, anche se devono camminare per oltre un'ora tra le pietraie per recarsi al loro al villaggio a oltre 3mila metri d'altezza. La mortalità infantile si è ridotta drasticamente in virtù della costruzione di poliambulatori (foto 10). Nell'educazione, grazie anche al nostro modesto contributo, negli ultimi 7 anni, secondo i dati di Reza Ada, direttore del Dipartimento provinciale, sono state costruite 85 scuole, per un totale di 353 operative, con 142.000 studenti rispetto agli 82.000 nel 2005. Quanto più conta, le ragazze sono salite da 39% al 46% del totale degli alunni. Oggi, in molte aree, la componente femminile ha raggiunto la maggioranza.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi