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Questo articolo è stato pubblicato il 25 maggio 2013 alle ore 08:42.
L'ultima modifica è del 25 maggio 2013 alle ore 11:40.

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Singolare destino quello del federalismo fiscale. Per anni ha tenuto banco nel dibattito pubblico; alleanze politiche si sono cementate o frantumate in suo nome; migliaia di pagine vi sono dedicate; e poi tutto si è spento nella voragine della recessione e della crisi politica. Se fino a ieri tutti erano federalisti, oggi sono diventati tutti centralisti. E come sempre succede in Italia si rischia di buttare via il bambino con l'acqua sporca.
Invece, una riflessione pacata richiederebbe di valutare cosa ha funzionato e cosa non ha funzionato nell'esperienza di decentramento del nostro Paese, per decidere cosa sviluppare e cosa abbandonare.
È ormai chiaro che non ha funzionato il nuovo Titolo V, cioè la riforma costituzionale del 2001. Invece di chiarire i ruoli e le competenze ???? e dei diversi livelli di governo sulle differenti funzioni, ha finito solo con il confonderle e moltiplicarle. Non ha protetto i livelli inferiori di governo – tant'è che il governo centrale ha sempre fatto tutto quello che voleva con la finanza regionale locale – ma non ha impedito che ogni Regione si credesse un piccolo Stato, dandosi addirittura una propria contabilità e pagando a suo piacimento i propri organi di governo. Di qui sprechi e inneficienze; ma soprattutto costi decisionali e amministrativi eccessivi per i cittadini, una struttura barocca e ridondante di personale pubblico che il paese semplicemente non è più in grado di permettersi. Dunque, il Titolo V va riformato; e il bello è che da almeno da una decina di anni le principali forze politiche si sono messe d'accordo (senza poi naturalmente farla) su una revisione costituzionale che almeno ne eliminerebbe le principali incongruenze.

Ma quanto proposto forse ora non è più sufficiente; uno sforzo deve essere fatto per semplificare ulteriormente la vita dei cittadini e delle imprese eliminando le sovrapposizioni di funzioni ancora esistenti fra livelli di governo. È anche palesemente eccessivo il numero dei governi: si deve riuscire a eliminare almeno le province. È anche assurdo che lo stato nazionale si occupi di redistribuire risorse alle regioni, e poi agli enti locali interni alle stesse regioni, con meccanismi di finanziamento che spesso confliggono gli uni con gli altri; sarebbe molto più semplice che i fondi arrivassero direttamente alle regioni che poi si farebbero carico dei propri enti locali.
Non ha funzionato il sistema dei controlli da parte del centro. Decentramento non significa che ciascuno fa quello che gli pare: decentramento significa che governi locali sono sovrani negli ambiti delle loro competenze, ma che poi il risultato delle loro azioni viene verificato, controllato e condiviso così da imparare dalle diverse esperienze. Invece da noi è successo l'opposto: i controlli interni di patti di stabilità interna sono diventati preventivi e invasivi dell'autonomia locale, ma ciò non ha impedito che si accumulassero sprechi e impegni insostenibili in numerose regioni e comuni.

I patti interni vanno rivisti e semplificati, ma allo stesso tempo va rafforzato il sistema dei controlli portando a termine il processo di armonizzazione della contabilità regionale, introdotto il bilancio consolidato a livello comunale, rafforzato il ruolo della Corte dei conti. Riforme in teoria già decise ma non ancora implementate.
Ha funzionato, nonostante tutto, l'esercizio dell'autonomia. La sanità è a macchia di leopardo; funziona bene in alcune regioni, malissimo in altre. Ma questo significa che in alcune regioni si è riusciti a sperimentare strategie innovative che non sarebbero state attuabili in un sistema centralizzato e uniforme. Dove si è fallito è nel non sfruttare questi risultati differenziati come meccanismo di stimolo alla ricerca di maggiore efficienza. Si è inseguito il mito del federalismo uguale per tutti, invece di legare la maggiore autonomia al conseguimento dei risultati.
Non ha funzionato infine il sistema dell'autonomia tributaria. Tributi sono stati dati e tributi sono stati tolti in misura confusa e contradditoria negando alla radice il principio stesso dell'autonomia e generando incertezza nei cittadini e negli stessi governi locali. Speriamo che la riforma annunciata dell'Imu sia l'occasione per rifondare la finanza comunale su basi stabili.

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