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Questo articolo è stato pubblicato il 28 maggio 2013 alle ore 12:13.

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In cinque anni l'Italia ha perso 230 miliardi di Pil. Al tempo stesso, nel periodo 2009-2013, le entrate sono crollate di 90 miliardi rispetto alle previsioni. Ma ciò non ha impedito alla pressione fiscale di crescere di un punto percentuale. Se non sono numeri di guerra poco ci manca. A diffonderli è stata la Corte dei conti nel Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica. I magistrati contabili sottolineano anche che la sola austerità non paga e che per ripartire servono stimoli alla crescita (anche in ambito Ue), tagli selettivi alla spesa e una riforma del fisco che lo renda più sopportabile e più equo.

Gli effetti della recessione
Il quadro tracciato dal presidente della Corte dei conti, Luigi Giampaolino, durante la presentazione di stamattina al Senato del rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica non lascia spazio ai dubbi: «In Italia, nel periodo 2009-2013 la mancata crescita nominale del Pil ha superato i 230 miliardi». La perdita del prodotto interno lordo nell'arco della legislatura passata si è tradotta in una caduta del
gettito fiscale anche superiore alle attese: quasi 90 miliardi in meno rispetto alle previsioni. Ma questo non si è tradotto in una riduzione della pressione fiscale, che anzi è aumentata rispetto al 2009 di oltre un punto in termini di Pil. Il quinquennio di bassa crescita appena descritto ha di fatto vanificato gli sforzi intrapresi sul fronte della spesa. Nonostante i 40 miliardi di risparmi contabilizzati a fine 2012 la sua incidenza sul Pil è passata negli ultimi tre anni dal 47,8 al 51,2 per cento. A pagare il prezzo di un tale quadro è stato anche il pareggio di bilancio che l'anno scorso è stato mancato per una cinquantina di miliardi.

Le prospettive di breve periodo
Tutti questi numeri aiutano a capire perché il nuovo Governo ha davanti a sé «un quadro molto fragile non solo in termini di crescita ma anche di finanza pubblica». Innanzitutto - si legge nel rapporto - continueranno a farsi sentire gli effetti dei 140 miliardi di interventi correttivi varati dal 2008 a oggi (di cui 30 miliardi sul solo biennio 2013-2014). E poi non vanno trascurate le altre complicazioni: una «pressione fiscale portata a livelli comunemente ritenuti incompatibili con le esigenze della crescita, ma funzionale al rispetto dei parametri europei»; la scelta di come «accompagnare il percorso di sviluppo di lungo periodo con risorse che appare sempre più difficile cercare nel bilancio pubblico». E veniamo così alle possibile vie d'uscita indicate dalla Corte dei conti che indica nelle politiche di austerità una concausa della recessione. Dunque, servono nuovi stimoli alla crescita, approfittando degli spazi che l'Unione europea ci concederà. Ben consapevoli però, ha evidenziato Giampaolino, che all'Italia servono «stimoli per crescere di più non deroghe per spendere di più». A causa del peso del nostro debito pubblico l'Italia sarebbe chiamata a uno sforzo sul fronte dell'avanzo primario più simile a quello delle economia in crisi che a quello dei grandi Paesi europei. A meno che - fa notare il paper - l'Italia non «innalzi la propria crescita potenziale attraverso i necessari interventi di riforma» oppure intervenga «sul debito con adeguati programmi di cessione di assets pubblici».

L'andamento della spesa pubblica
La Corte dei conti invita ad andare avanti sul processo di contenimento della spesa che ha già prodotto alcuni risultati. Nel 2012, al netto della spesa per interessi, le uscite delle amministrazioni centrali erano diminuite del 6,6% rispetto al 2009; quelle delle Pa locali del 7,2 per cento. Ciò significa che le prime hanno risparmiato 26 miliardi e le seconde 16. Buone notizie anche sul fronte della sanità: come evidenziato su Il Sole 24 Ore-Sanità l'anno scorso il disavanzo sanitario è diminuito di 760 milioni (-41,6%). Da qui l'invito ad andare avanti con il processo di spending review anche se i margini per grossi risparmi non sembrano esserci.

L'utilizzo della leva fiscale
L'altra leva da utilizzare per provare a sostenere la crescita passa dal fisco. Nel definire la riduzione della pressione fiscale un obiettivo «non facile da coniugare con il rispetto degli obiettivi europei» il presidente della Corte dei Conti ha sottolineato che «di più immediata percorribilità potrebbe rivelarsi una scelta volta ad aumentare l'equità distributiva del prelievo». Lo strumento proposto è quello della riduzione delle agevolazioni fiscali. Una giungla di 720 voci con un costo di quasi 254 miliardi, che i magistrati contabili suggeriscono sì di disboscare ma nel quadro di una riforma complessiva del fisco. Per evitare che i costi della risistemazione li paghino solo alcuni.

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