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Questo articolo è stato pubblicato il 12 giugno 2013 alle ore 07:56.

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Da giorni la crisi verticale dei Cinque Stelle rimbalza su giornali e televisioni, ma ciò che sorprende non è tanto l'ampiezza dei contrasti interni quanto l'inerzia del leader Beppe Grillo. Che almeno fino a ieri sembrava non avere la più lontana idea su come gestire in termini politici il problema che sta dilaniando il suo movimento.

Anche ieri, dopo che i dati della Sicilia avevano confermato la portata dell'insuccesso su scala nazionale, Grillo ha fatto ricorso al solito repertorio: espulsione di una senatrice dissidente, accuse alla "politica oscena" di Pd e Pdl (uniti come fossero la stessa cosa), chiamata a raccolta dei militanti in vista di un'ipotetica battaglia finale contro la partitocrazia. La novità, se così si può dire, è il lancio di una sorta di referendum, naturalmente "online", su se stesso. Il quesito ("sono io il problema?") equivale a chiedere al solito popolo del web: siete con me o contro di me?
In altri termini, è un appello plebiscitario per riaffermare una leadership che come tale resta priva di alternative. Nessuno pensa che il M5S possa sopravvivere come forza più o meno organizzata senza il suo fondatore e "guru". Il che naturalmente non risolve le questioni di fondo. È ovvio che Grillo sarà pienamente rilegittimato dai suoi, per così dire. Tuttavia è anche vero che su internet si leggono oggi una quantità di riserve sull'operato del capo, qualcosa che un paio di mesi fa sarebbe stato impensabile. Se ne deducono due punti.
Il primo è che il plebiscito, peraltro privo di riscontri e di controlli, andrà come è ovvio a favore di Grillo: il quale però ha già visto incrinarsi il suo carisma. Piccole crepe destinate ad allargarsi in futuro.

Secondo aspetto, si tratta pur sempre di una risposta non-politica alla crisi interna. Si badi: dire "non politica" è altra cosa dal dire "anti-politica". Quest'ultima equivale a un un modo alternativo di fare politica, mentre nel caso di Grillo si tratta di una replica che si limita a coprire un vuoto e tradisce l'assoluta mancanza di iniziative che non siano la generica riproposizione di un'opposizione globale al sistema. Ed è così, dimostrando di non saper guidare una forza del 25 per cento dei voti attraverso la complessità della vita istituzionale, che Grillo si infila in altri guai. È sorprendente la mancanza d'immaginazione e flessibilità. Un politico, sia pure trasgressivo, si definisce abile quando sa essere duttile; quando sa conservare e magari accrescere le sue forze esercitando, appunto, una leadership e dimostrando che certe astuzie tattiche, compreso qualche compromesso, fanno parte di una strategia di lungo periodo.
Viceversa Grillo è come un carro armato che possiede solo la marcia avanti. Sa arringare le folle e alimentare il "blog". Ma non sa come tenere insieme la sua truppa un po' raccogliticcia (e in molti casi meno idealista di come si pretende), a meno che all'orizzonte non si profili il dissesto finale dello Stato e l'avvio della "rivoluzione".

Il leader sfoggia un'anima sempre più massimalista perché non sa cos'altro fare per obbligare i suoi ad allinearsi. È la scelta che spesso condanna a morte i movimenti populisti. Oggi un gran numero di osservatori punta sulla disgregazione dei Cinque Stelle. È probabile che abbiano ragione, anche se Grillo ha gli strumenti per rallentare la fine del M5S. Ma la scomposizione dei gruppi parlamentari è vicina. Meraviglia che non avvenga grazie a una rivincita dei partiti, bensì per la perdita vertiginosa di credibilità del movimento che doveva rigenerare la politica. Ma senza sapere né come né con chi.

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