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Questo articolo è stato pubblicato il 23 giugno 2013 alle ore 14:46.

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Da ben più di cinquant'anni i patti parasociali hanno costituito uno strumento di controllo del sistema delle grandi imprese in Italia. Su di essi sono stati scritti decine di volumi e di articoli in prestigiose riviste giuridiche; le leggi italiane e le direttive europee, insieme con una giurisprudenza contraddittoria e sempre incerta, li hanno tollerati, fino a consacrarli come strumenti per "stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società" (art. 2341 bis del codice civile).

Partiti inizialmente come patti d'onore, sono dunque arrivati a svalutare completamente gli istituti tradizionali societari e la loro validità: il principio "un'azione un voto" è completamente saltato, e con lui il rito assembleare, poiché le decisioni di maggioranze reali o fittizie vengono prese altrove e il mito della trasparenza societaria, nonostante giurisprudenza e organi di controllo, non si applica all'interno di quelle decisioni, che rimangono opache. Ebbene, proprio ora un'improvvisa autentica rivoluzione, che il capitalismo italiano attendeva dopo anni di lunga inetta decadenza, sembra alle porte. L'uscita dai patti di sindacato da parte di Mediobanca e prima ancora delle Generali, due pilastri, nel bene e nel male, del capitalismo italiano di relazione, è in grado di operare una trasformazione che può condizionare tutto il sistema politico, economico e sociale del nostro Paese.

I patti parasociali sono vissuti anche al di fuori della regolamentazione statutaria interna delle singole società e hanno costituito una delle strutture fondamentali di uno sclerotizzato capitalismo italiano, che ha escluso per decenni concorrenza e mercato, ridotto a capitalismo di Stato o a quello famigliare. Hanno sì garantito una sorta di stabilità del sistema, sostituendosi in parte nella funzione già attuata dall'Iri, ma spesso senza nè progetto nè programmazione.
Anzi, hanno favorito il proliferare delle catene societarie e la distorta funzione del sistema bancario, sempre più inserito nei patti, accentuando quella "mostruosa fratellanza siamese" che ha danneggiato la libera impresa.
Il tutto è avvenuto in aperto contrasto con gli altri sistemi giuridici occidentali, poiché è noto che più ampi sono i mercati finanziari, più irrilevanti sono i patti parasociali. Tant'è che sono praticamente inesistenti in Inghilterra e in alcuni Stati americani sono persino tassativamente vietati.

La conseguenza più evidente di questo capitalismo bloccato, e con una disciplina che risulta, con quei patti, unica al mondo, è il mancato ricorso al finanziamento di mercato da parte delle imprese, che sono rimaste pertanto quotate in Borsa più o meno nello stesso numero da circa mezzo secolo.
Ma questo non è l'unico danno dei patti di sindacato, poiché l'altra conseguenza estremamente grave è stata quella, con l'abolizione del mercato del controllo, di non facilitare il necessario alternarsi del management alla direzione dell'impresa, anche attraverso l'ambiguo rapporto che ancora esiste fra la disciplina introdotta dalle direttive comunitarie sulle offerte pubbliche d'acquisto e gli stessi patti, che ne costituiscono un'evidente barriera.
Sindacati di voto e sindacati di blocco, in cui si sviluppano i patti paraso-ciali, si pongono dunque come regole private che tendono a far valere principi in genere legati all'intuitus personae, che il tipo della società per azioni tenderebbe ad escludere, per garantire invece i più oggettivi ed asettici vincoli dell'intuitus pecuniae.
La sclerotizzazione del sistema e la mancata apertura al mercato hanno costituito per le imprese italiane una grave ragione di arretratezza, sia sotto il profilo dello sviluppo, sia sotto quello competitivo.

È forse questa la maggiore conseguenza del diffondersi a piovra di un capitalismo di relazione, che ha creato centri di potere personale, autore-ferenziale e repressivo, sovente in accordo con organi pubblici, che nes-sun'autorità di vigilanza, spesso intenta a reprimere illegalità minori, è riuscita a smontare.
Il diritto è fatto dalle norme e dalla attività creatrice della giurisprudenza, che spesso sono costrette ad inseguire con grave ritardo le prassi più o meno legali dei privati. Se è il mondo dell'impresa che finalmente impo-ne, precedendo leggi e sentenze, criteri e prassi per uno sviluppo di effi-cienza effettiva dei mercati alla quale, cancellate le conventicole, corrisponderà poi anche un'autentica giustizia sociale, il nostro Paese potrà in piena regola e da protagonista contribuire con gli altri alla soluzione della crisi provocata dalla globalizzazione.

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