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Questo articolo è stato pubblicato il 25 giugno 2013 alle ore 07:24.

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I tassi di interesse su tutti i titoli di stato di Paesi (America, Inghilterra, Francia, Germania ) che avevano fruito di una situazione privilegiata (per la loro presunta o reale maggiore affidabilità) durante la crisi sono aumentati da quando il 19 giugno il presidente della Fed, Ben Bernanke, ha fatto capire che la politica monetaria Usa non avrebbe continuato ad essere espansiva come in passato.

L'effetto sul ribasso di prezzo delle obbligazioni e quindi di aumento nei tassi si è avuto più marcato nei Paesi periferici della eurozona i cui titoli di Stato sono risultati più venduti essendo più rischiosi. Così il tasso sul BTp decennale ha superato il 4,80% con un rialzo di circa 50 punti base rispetto a prima del 19 giugno e lo spread sul tasso del bund tedesco, pure in rialzo, è intorno ai 3 punti percentuali.
I mercati pare siano stati colti di sorpresa dalle dichiarazioni di Bernanke. Eppure due considerazioni avrebbero potuto prefigurare che, prima o poi, le stesse sarebbero giunte. La prima considerazione è che l'eccesso di liquidità andava corretto per evitare qualche altra bolla magari proprio sui titoli di Stato. Basti rilevare un'anomalia: i tassi sui Gilt inglesi avevano raggiunto i minimi malgrado la precarietà della situazione complessiva del Regno Unito. Per vari economisti una politica prolungata di tassi troppo bassi tenuta dalla Fed dopo la recessione dei primi anni 2000 ha causato la bolla e la crisi del 2008.

La seconda considerazione è che il cambiamento in prospettiva della politica monetaria Usa è adesso possibile dal miglioramento netto delle condizioni dell'economia Usa. La disoccupazione si sta riducendo ed è già sotto il 7,5% mentre il Pil del 2013 è previsto in crescita del 2% con consolidamento al meglio nel 2014. Inoltre l'America sta vivendo una fase di nuova industrializzazione che tonifica tutte le aspettative e che sta generando un rientro di imprese dall'estero.
Da questo annuncio nel cambiamento di tono della politica monetaria Usa (a cui si associa anche una indipendente restrizione creditizia in Cina) si sono avuti come detto effetti immediati su tutti i mercati per gli intrecci della finanza mondiale dove l'America è al centro come si è visto nella crisi dei sub-prime. Meno liquidità in America si ripercuote nel resto del mondo attraverso investimenti diretti e indiretti (delle banche d'affari, del private equity, del venture capital e dei fondi pensione, investitori individuali, di imprese, dei fondi d'investimento). Per taluni gli investitori stanno prendendo atto del cambiamento prospettico della politica della Fed e rivedendo le allocazioni dei loro fondi.
P er altri i grandi operatori stanno mandando dei "messaggi minacciosi" alla Fed su quello che succederebbe se la stessa rivedesse la sua politica. Per altri ancora si potrebbero vedere nei prossimi mesi ripetute inversioni delle correnti di acquisto e vendita.

Non siamo in grado di fare valutazioni al proposito e siamo invece più interessati ad alcune considerazioni sulla situazione europea. La prima considerazione riguarda lo spostamento delle curve dei tassi di interesse in seguito a quello Usa. Al proposito ci pare evidente che l'esistenza dello OMTs della Bce ha svolto un ruolo importante. Infatti se è vero che la curva tedesca ha registrato la crescita dei rendimenti trascinando al rialzo anche quella degli altri Paesi europei vero è anche che non sembrano mutati sostanzialmente, almeno per ora, gli equilibri creatisi in termini di spread dall'annuncio dell'OMT lo scorso settembre. Più precisamente la parte della curva dei tassi sotto i tre anni ha avuto uno scostamento meno marcato rispetto a quella tedesca proprio perché potenzialmente coperta dall'ombrello dello OMTs.
La seconda considerazione è che se lo OMTs fosse bloccato a causa delle decisioni della Corte Costituzionale tedesca o se la Bce adottasse anch'essa una politica monetaria meno accomodante, le conseguenze sulla Eurozona sarebbero molto gravi. Infatti la situazione economica della Uem è ben diversa da quella Usa perché nel 2013 il Pil calerà almeno dello 0,5% e la disoccupazione rimarrà in crescita verso il 13%.
Per questi motivi l'Eurozona dovrebbe individuare subito degli strumenti di politica fiscale (anche unitaria) per spingere gli investimenti e quindi per compensare un'eventuale contrazione della politica monetaria che tuttavia nella sua fase accomodante non è stata in grado di rilanciare la crescita. Se poi i tassi di mercato aumentassero, l'economia reale (ed in particolare quella italiana, già molto provata da tassi e tasse) di tutti i Paesi della Eurozona ne soffrirebbero molto con ulteriore compressione della crescita e dell'occupazione.

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