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Questo articolo è stato pubblicato il 01 luglio 2013 alle ore 22:00.
L'ultima modifica è del 01 luglio 2013 alle ore 15:44.

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(Epa)(Epa)

Sostenitori e oppositori del presidente islamista Mohamed Morsi sono tornati in strada a migliaia al Cairo in un'atmosfera sempre più tesa. Sette persone sono morte negli scontri a Giza, hanno riferito fonti mediche. Massicce proteste si sono viste a piazza Tahrir, dinanzi il palazzo presidenziale di Ittihadiya e a quello di Qobba; e poi ancora ad Alessandria, in una serie di governatorati e nelle città di Suez e Port Said.

Dopo un primo no all'ultimatum delle forze armate (scade martedì alle 17), che lo invitava a dimettersi «per soddisfare le richieste del popolo», Morsi ha incontrato il capo di Stato Maggiore e ministro della Difesa egiziano Abdel Fattah al-Sisi per fare il punto sulla crisi. Al termine dei colloqui il capo dello stato ha chiesto all'esercito di rinunciare a qualunque forma di pressione, riaffermando la sua «legittimità costituzionale».

Insomma, è muro contro muro. Numerose le defezioni nel governo. Finora sono 5 i ministri dimissionari: il titolare degli Esteri, Mohamed Amr (che ha avuto un colloquio telefonico con il segretario di Stato americano, John Kerry, probabilmente già dopo avere lasciato l'incarico, cosa che ha causato un qualche sconcerto a Washington), quello del Turismo, Hisham Zaazu, e il titolare delle Telecomunicazioni Atef Helmi. A lasciare l'esecutivo vi sarebbero anche i ministri dei Rapporti con il Parlamento, Hatem Bagato, e dell'Ambiente, Jaled Fahmi. Si rincorrono voci e smentite di dimissioni del premier Hisham Qandil. I colloqui sono proseguiti in serata, secondo fonti militari e della presidenza, che non hanno aggiunto ulteriori dettagli.

La bozza di processo di transizione messa a punto dai militari prevede la sospensione della Costituzione e lo scioglimento del Parlamento controllato dagli islamisti, Fratelli Mususlmani in primis. Il progetto contempla anche modifiche alla Costituzione entro pochi mesi, seguite da elezioni presidenziali anticipate. I militari, che non hanno chiarito come intendono procedere nell'eventualità che Morsi non ceda i suoi potere senza porre ostacoli, prevedono di affidare la gestione del governo, fino a quando non sarà approvata una nuova Costituzione entro pochi mesi, ad un consiglio ad interim (organismo composto principalmente di civili espressione delle diverse forze politiche e a tecnocrati esperti).

Tra le figure di capo dello Stato provvisorio i militari hanno fatto il nome del nuovo presidente della Corte Costituzionale, Adli Mansour. La bozza ricorda molto da vicino le proposte per una transizione democratica avanzata dalla principale forza di opposizione, il Fronte di Salvezza Nazionale. Quest'ultimo ha chiamato Mohammed El Baradei, ex capo dell'Aiea (Agenzia internazionale per l'energia atomica), a rappresentarlo per fare da negoziatore in vista di una «transizione politica».

Sull'altro lato della barricata un responsabile dei Fratelli musulmani egiziani, il movimento islamista di cui è espressione il presidente, ha lanciato un appello a impedire un colpo di stato dopo l'ultimatum posto dall'esercito, all'occorrenza attraverso il martirio. «Cercare il martirio per impedire un colpo di stato è quello che possiamo offrire ai precedenti martiri della rivoluzione», ha dichiarato in un comunicato Mohamed al Beltagui. La leadership dei Fratelli Musulmani aveva valutato di proporre un referendum popolare sulla destituzione di Morsi per superare l'impasse politico in cui si trova il Paese.

Il presidente americano Barack Obama, che si era detto «preoccupato» della situazione egiziana, ha telefonato a Morsi e lo ha esortato a rispondere alle richieste dei manifestanti. Obama ha chiesto a Morsi «passi per dimostrare di essere reattivo alle loro preoccupazioni e ha sottolineato che la crisi può essere risolta solo attraverso un processo politico», si legge in un comunicato. Obama ha espresso al collega del Cairo la sua preoccupazione a causa dell'escalation della crisi politica, gli ha ribadito l'impegno di Washington per il «processo democratico in Egitto», sottolineando che gli Usa «non supportano singole parti o gruppi».

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