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Questo articolo è stato pubblicato il 03 luglio 2013 alle ore 06:55.
L'ultima modifica è del 03 luglio 2013 alle ore 07:17.

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Sarà che di mezzo ci sono, come avviene regolarmente ormai da mesi, le elezioni tedesche del 22 settembre e la determinazione di Angela Merkel di vincerle.
Sarà che è l'industria europea appare sempre più convinta che elevati target ambientali restino sacrosanti purché non perseguiti però in modo troppo unilaterale, altrimenti a breve i loro alti costi penalizzano la competitività dell'Unione europea rispetto alla concorrenza globale.
Fatto sta che, a ridosso del vertice europeo di giovedì scorso, la Germania, priva della necessaria minoranza di blocco, non ha esitato a mobilitare il suo cancelliere per fermare una direttiva Ue sull'auto verde, in quanto non in perfetta sintonia con gli interessi nazionali.
Sul tavolo dei 27 c'era un compromesso per ridurre dal 2020 le emissioni di Co2 di tutte le auto nuove dagli attuali 130 a 95 grammi/km. Ma con una certa flessibilità, grazie ai "supercrediti": i costruttori potranno cioè continuare a produrre vetture più inquinanti del nuovo minimo consentito sfornando, per compensare, auto elettriche o ibride a bassissime emissioni (meno di 50 gr/km).

Peccato che oggi gli unici in grado di venderne in Europa e quindi di beneficiare dei super-crediti, siano i produttori di alta gamma, le tedesche Daimler e Bmw grazie a un mercato nazionale, che è ricco, disposto a comprarle anche se care. Diversamente dagli altri costruttori e mercati europei. La soglia prescelta per far scattare i crediti però ancora non bastava, dunque Merkel in campo, blocco dell'intesa anche con la compravendita di consensi tra i Paesi interessati, Francia compresa.
Non è la prima volta che l'egoismo industriale della Germania strapazza il mercato unico, i partner-concorrenti (cui impone, giustamente, il recupero di competitività), il regime della concorrenza e la politica commerciale europea. Né è la prima volta che, con estrema spregiudicatezza, tira dritto fissando regole e standard Ue che rispecchiano le esigenze del suo sistema industriale ignorando quelle degli altri modelli europei.
In tempi di recessione e sacrifici diffusi nei Paesi più vulnerabili del Sud, la legge del più forte diventa sempre più dura da digerire. Soprattutto quando il più forte marcia sulla pelle dei più deboli traendone vantaggi di ogni genere e per di più strangolandone paradossalmente le possibilità di ripresa con una concorrenza sleale ma ben mascherata che mette in croce interi settori altrui. Tutto questo grazie a una capacità di controllo capillare di tutte le istituzioni europee.

Il mini-golpe della Merkel sull'auto pulita è l'ultimo episodio di una lunga serie. Non meno esemplare la vicenda dei dazi anti-dumping sui pannelli solari cinesi: secondo un'inchiesta di Bruxelles durata 9 mesi, i pannelli entrano in Europa a prezzi inferiori dell'88% ai costi di produzione mettendo così a rischio 25mila posti di lavoro nella Ue.
Il cancelliere però sta pubblicamente dalla parte di Pechino insieme ad altri 17 Paesi Ue. La ragione è semplice: se l'imperativo prioritario tedesco è andare a caccia di crescita dove c'è, la scelta diventa automatica, snobbare le preoccupazioni dell'altra Europa, che non cresce, una reazione naturale. Anche se nella Ue tuttora si dirige il 60% dell'export tedesco, anche se, con un surplus corrente impressionante (6,5% del Pil) Berlino si guarda bene dallo stimolare la domanda Ue.
E si potrebbe continuare sull'egocentrismo economico della nuova Germania: l'unione bancaria e i suoi perseguiti ritardi sono l'altro esempio macroscopico insieme al freno, imposto all'ultimo vertice, ai prestiti Bei alle Pmi Ue soffocate dal credit crunch. L'interesse nazionale anteposto a quello collettivo europeo.

L'alibi è sempre lo stesso: il Nord è virtuoso e ha mano libera, il Sud è fannullone, quindi deve imparare a sgobbare e poco rivendicare. Lo schema può sembrare caricaturale. In parte lo è. Ma serve a capire che, per provare a controllare l'esondazione tedesca, ci vogliono fatti: credibilità politica e competitività economica, la volontà di ciascun Paese di ricostruirsi senza attendere o pretendere regali o sconti da nessuno. E di farlo presto con un'idea chiara in testa: la forza preponderante della Germania oggi è anche il risultato delle vistose debolezze altrui. Questo non l'assolve dai reiterati peccati di nazionalismo che mettono in difficoltà i suoi partner. Però se alla fine l'Europa sarà tutta tedesca, la colpa sarà anche nostra. A meno che non ci decidiamo a reagire.

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