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Questo articolo è stato pubblicato il 05 luglio 2013 alle ore 07:00.
L'ultima modifica è del 05 luglio 2013 alle ore 07:59.

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Senza enfasi, anzi, con molta prudenza, Emma Bonino dimostra di saper gestire quella complessa matassa che è la politica estera. E per l'Italia di oggi politica estera vuol dire soprattutto due punti cerchiati in rosso nell'agenda: il cosiddetto "Datagate", cioè il sospetto di spionaggio elettronico da parte dei servizi americani a danno degli alleati europei; e il caso tuttora irrisolto dei due marò del San Marco trattenuti in India.
In entrambe le situazioni il ministro Bonino sta attingendo a quel bagaglio di esperienza politica che non le manca e che in certi momenti diventa, come è ovvio, una risorsa irrinunciabile. Non è facile, ad esempio, affrontare la questione "Datagate" senza scivolare nel manierismo anti-americano e anti-atlantico. Viceversa la posizione italiana privilegia il dato di fondo, anche nel rifiuto all'asilo per Snowden: non si può "incrinare la fiducia fra alleati". Non si può, in altre parole, usare un incidente dai contorni oscuri per allentare i vincoli fra Europa e Stati Uniti, e tanto meno fra l'Italia e il suo storico alleato. Sarebbe un atto di autolesionismo, oltre che un favore fatto agli avversari dell'America nel mondo. Che essi siano in Russia, in Cina o magari in qualche circolo politico tedesco.

Questo è l'aspetto politico che davvero conta. Il resto attiene ai "chiarimenti" che sono stati chiesti, consapevoli peraltro che il caso va inquadrato nelle sue esatte dimensioni. Per quanto ci riguarda, i nostri servizi hanno escluso che l'ambasciata a Washington sia stata sottoposta a spionaggio. Il che aiuta a ridimensionare, almeno in parte, l'affare. Il passo successivo sarà rinsaldare il "patto di fiducia" inter-atlantico, aiutando l'Europa a parlare – se possibile – con una voce sola. L'Italia potrà dare un contributo in tal senso.
Circa il secondo punto (i marò in India), il fatto che si siano spenti i clamori intorno alla vicenda non sembra essere segno di indifferenza o dimenticanza. Forse è il contrario. Qualche indizio lascia pensare che le autorità indiane siano oggi meno intransigenti di ieri. Certo, si tratta di procedere un passo alla volta con molta circospezione. Un incontro a Palazzo Chigi si svolge stamane, alla presenza di Letta e di tutti i ministri interessati. L'importante è che i contatti si svolgano con discrezione, senza colpi di testa che sarebbero del tutto controproducenti, come dimostra l'esperienza del recente passato.

Per l'Italia la situazione è mortificante, non c'è bisogno di sottolinearlo. Ma è evidente che a questo punto il compromesso si troverà solo se gli indiani sentiranno di aver salvaguardato a sufficienza il loro orgoglio nazionale. Un aspetto che riguarda il lato psicologico della politica molto più del diritto internazionale. Al di là di possibili contropartite su cui al momento non ci sono notizie.
Ne deriva che, allo stato delle cose, c'è solo da proseguire sul sentiero intrapreso. In questi mesi si è registrata assoluta armonia fra i ministri italiani (Esteri, Difesa, Giustizia) ed è bene che così sia anche nel prossimo futuro. Qualcuno ritiene che la soluzione del problema sia più vicina di quanto si pensi. Manca qualsiasi conferma, per la verità, ma è incontestabile che negli ultimi due mesi non si sono registrati ulteriori elementi di tensione o di incomprensione fra Roma e New Delhi. Anche qui il ministro degli Esteri sta tessendo la sua trama. Lasciamogli il tempo di lavorare.

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