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Questo articolo è stato pubblicato il 20 luglio 2013 alle ore 10:12.

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Tra Londra e Mosca è comprensibile la volontà di metter su l'abito buono e presentare al meglio il prodotto Italia. Di fronte agli interlocutori dei mercati internazionali, magari al cospetto delle grandi banche d'affari, è buona cortesia rispondere positivamente alle sollecitazioni degli interlocutori. E quando ti chiedono delle privatizzazioni, non ci stai a fare la parte dello statalista, arroccato su proprietà pubbliche e protezionismo anti-mercato. Gli ultimi due giorni, così, sono stati un crescendo rossiniano sulla disponibilità del Governo a dare il via a una nuova, robusta, stagione di dismissioni di patrimonio pubblico, mobiliare e immobiliare. Eni, Enel, finanche Finmeccanica, sono state proiettate sui titoli di giornali e tv, pronte ad andare sul mercato con quote più o meno ampie. Ma alle cinque della sera, puntuale, la smentita del Tesoro.

Non ci sarà in autunno un rilancio in grande stile delle privatizzazioni con riferimento alle grandi aziende controllate dallo Stato che operano in settori strategici. Il ministro Saccomanni, del resto, è stato chiaro con tutti i suoi interlocutori dall'inizio del mandato: le attuali condizioni di mercato e la situazione dei gruppi controllati induce a una grandissima prudenza. Vendere significherebbe svendere. E allora sarebbe meglio non confondere i mercati con parole ambigue, rilanciate come lance affilate dalle agenzie di stampa. Il "rilancio delle privatizzazioni" è un titolo che vende molto bene sul mercato dell'informazione, ma da più di un decennio è un titolo che diventa junk nello spazio di pochi giorni. Poco male, se non lasciasse però traccia solo nella diffidenza degli investitori, che vengono indotti a giudizi e scelte sbagliate, in un momento dove la tensione sul mercato è già sufficientemente alta.

Evitare la diffusione di ballon d'essai aiuta anche a lavorare con serietà alle dismissioni possibili. Perché se oggi appare inopportuno mettere nel calderone aziende come Eni, Enel o Finmeccanica, sicuramente sono da incoraggiare quanti all'interno del Governo stanno spingendo a favore di operazioni utili a ridurre lo stock del debito pubblico (vera priorità per il rilancio) e, nello stesso tempo, ad aumentare l'efficienza e la concorrenza dei mercati. Riservatamente è stato lo stesso presidente del Consiglio a chiedere al suo ministro dell'Economia la predisposizione di un dossier con alcune proposte «possibili».

Saccomanni ci sta lavorando. L'intenzione è quella di presentare entro l'estate un quadro delle opzioni percorribili, in modo da permettere al premier di fare in autunno le proprie scelte.
Torneranno allora a farsi largo le buone ragioni per quotare società come Ferrovie, Poste, la stessa Rai. Ma, c'è da scommetterci, non sarà un governo così caleidoscopico a superare le resistenze politiche e sindacali che da decenni guardano a queste aziende come a rendite di potere da difendere.

Anche il mercato ci crede poco. È con grande attenzione, al contrario, che il mercato guarda al patrimonio di aziende controllate dal settore pubblico in sede locale. Si tratta di oltre 4mila società, spesso malgestite e feudi della politica locale tra malaffare e vera e propria corruzione. Qui davvero servirebbe da parte del Governo un segnale forte. Se ne parla da anni, ma non si è mai andati oltre i piccoli passi verso la liberalizzazione dei servizi, peraltro successivamente vanificati.

Privatizzare queste società significherebbe rimpinguare le casse asfittiche degli enti locali e, nello stesso tempo, aprire il mercato, dando una grande spinta all'economia e agli investimenti in sede locale. Tre benefici in uno: meno debito nel settore pubblico, più benzina nel settore privato, servizi più efficienti per i cittadini.

Con il nuovo corso al ministero dell'Economia c'è da aspettarsi, poi, anche un rinnovamento nella gestione delle dismissioni del patrimonio immobiliare pubblico. È vero: la situazione del mercato immobiliare è quella che è. Ma questa non può essere una scusante. Se le tanto volte annunciate dismissioni non sono andate in porto è anche per l'inadeguatezza dell'amministrazione pubblica persino nel solo censire il proprio patrimonio. Se si vuole andare sul mercato con qualche possibilità di successo è un radicale cambiamento di comportamenti quello che serve. Lo Stato è un cattivo gestore del proprio patrimonio immobiliare. Lasci spazio al privato. Ma per invogliarlo rinunci ai tanti vincoli che oggi pretende di imporre con logiche burocratiche. Cambio di destinazioni d'uso, valorizzazioni, concessioni a lunghissimo termine: si cambi approccio e gli investitori, magari anche dall'estero, arriveranno.

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