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Questo articolo è stato pubblicato il 31 luglio 2013 alle ore 08:24.
L'ultima modifica è del 31 luglio 2013 alle ore 08:29.

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Un «rimedio» tecnico sulle pene accessorie

Non è un caso se Antonello Mura, per tutte le tre ore e mezza della requisitoria, abbia sempre parlato in terza persona, riferendo valutazioni e conclusioni alla «Procura generale». Né è un caso che abbia seguito un testo scritto. Del resto, l'ha detto all'inizio: «Cercherò di restituire quanto più possibile il quadro condiviso da tutta la Procura generale».

Ergo: la richiesta di conferma della condanna di Silvio Berlusconi ha un peso maggiore che in altri processi perché è la richiesta dell'intero ufficio della Procura generale guidato da Gianfranco Ciani, frutto del lavoro congiunto di Mura, di altri sostituti Pg (molti dei quali erano presenti in aula) e dello stesso Ciani. Soltanto su un punto la Procura generale ha dissentito dalla Corte d'appello di Milano, sulla quantificazione dell'interdizione dai pubblici uffici, indicata in tre anni invece dei cinque stabiliti dai giudici di merito. Una rideterminazione che può essere effettuata direttamente dalla Cassazione, senza dover rimandare le carte alla Corte d'appello, sostiene sempre la Procura. Tesi che, ovviamente, può essere condivisa o meno dalla Cassazione.

Annullamento senza rinvio è quindi la conclusione "formale" della Procura generale, che solo su questo punto ha accolto uno dei motivi del ricorso dei legali di Silvio Berlusconi. Nella sostanza non cambia molto per l'ex premier: salvo lo "sconto" di due anni sull'interdizione dai pubblici uffici, lo scenario resta identico: 4 anni di carcere (di cui 3 condonati dall'indulto) e fine della vita politica per 3 anni. Sempre che la Cassazione sia d'accordo.

A questa conclusione la Procura è arrivata attraverso un ragionamento tecnico, che parte dalla legge (speciale) n. 74 del 2000 sui reati finanziari, che disciplina quindi anche la frode fiscale. L'articolo 12 riguarda le pene accessorie: ne prevede alcune specifiche nonché l'interdizione da 1 a 3 anni dai pubblici uffici che scatta sempre in caso di condanna. Al contrario, le norme generali del Codice penale prevedono che la condanna a pene superiori a 3 anni comporti l'interdizione per 5 anni mentre per le condanne a pene superiori a 5 anni l'interdizione è perpetua. In sostanza, la legge speciale del 2000 fa scattare l'interdizione per qualunque condanna (fosse anche solo a 15 giorni), ma anche se la pena fosse di 10 anni l'interdizione non potrebbe superare i 3 anni. Ebbene, secondo la Procura generale, la Corte d'appello di Milano ha confuso i due regimi, applicando le pene accessorie previste dalla norma generale e non da quella speciale applicabile invece nella fattispecie visto che il reato per cui è stato condannato Berlusconi è previsto appunto dalla legge n. 74 del 2000.

Di fronte a questo errore c'erano due strade: o rimandare il processo alla Corte d'appello solo per la pena accessoria (senza peraltro effetti sulla prescrizione) oppure lasciare alla Cassazione il compito di rideterminarne l'entità. La Procura ritiene che si debba seguire questa seconda strada perché il sistema delle pene accessorie non è legato ai criteri previsti per quantificare la pena principale ma al principio generale dell'articolo 37 del Codice penale, che è quello dell'automatismo e che in questo caso impone alla Corte di fissare in 3 anni la durata dell'interdizione.

Vedremo se la Cassazione condividerà questo ragionamento e, prima ancora, quello più generale che ha portato la Procura a ritenere infondato, per il resto, il ricorso di Berlusconi. La preparazione della requisitoria non è stata semplice considerato che c'erano circa novanta motivi di ricorso a cui dare una risposta. Senza contare il parere pro-veritate che i legali di Berlusconi hanno chiesto a un noto tributarista a sostegno della tesi – sia pure subordinata – che la condotta contestata all'ex premier non configurerebbe una frode fiscale ma il reato (meno grave) di dichiarazione infedele. Tesi smontata dalla Procura, secondo cui Berlusconi sarebbe stato «l'ideatore del meccanismo di frode fiscale» con «il duplice scopo di gonfiare i costi per ottenere benefici fiscali e produrre pagamenti per la costituzione all'estero di ingenti capitali». «Sussistono tutti gli elementi concreti del reato di frode fiscale» ha perciò concluso Mura. Dunque, «non ci può essere annullamento della sentenza di condanna». Se non, appunto, per la rideterminazione dell'interdizione.

La Procura rappresenta l'accusa pubblica e in questo caso ha giocato fino in fondo il suo ruolo, anche se non sempre – va detto – le conclusioni sono in linea con quelle delle Procure di merito.

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