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Questo articolo è stato pubblicato il 04 agosto 2013 alle ore 14:39.

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La manifestazione di Roma, una discriminante. Per adesso bisogna guardare gli eventi man mano che si presentano, ora per ora. È chiaro che il capo dello Stato intende ricucire il grave strappo politico e persino istituzionale che si è prodotto negli ultimi due giorni, dopo la sentenza della Cassazione. Ha rifiutato di accogliere stravaganti domande di grazia, ha preteso che il centrodestra abbassi i toni e nessuno si permetta di evocare la «guerra civile». A giudicare dal bilancio della manifestazione romana, qualche risultato l'ha ottenuto.

Ma quel messaggio («Io non mollo») non è rassicurante. Se vuol dire che Berlusconi si sente di continuare a essere un punto di riferimento per i suoi seguaci, va benissimo. Ma se significa che egli continuerà a occuparsi in modo diretto di politica quotidiana, dentro o fuori del Parlamento, allora l'ambiguità potrebbe non essere sostenibile dall'alleanza. In ogni caso la piazza, peraltro sguarnita, è rimasta nei binari di una certa vivacità, ma di una sostanziale correttezza democratica. Il capo dello Stato ha forse margine per il lavoro di mediazione che ci si attende da lui. Comunque sia, il ruolo del Quirinale, che è essenziale, passa attraverso un autentico passo indietro di Berlusconi. Che, ripetiamo, potrà restare sullo sfondo come ancoraggio ideale per i suoi, ma non potrà svolgere un ruolo politico-parlamentare diretto e in prima persona. Anzi, dovrà agevolare egli stesso la successione. Altrimenti è inutile parlare di riforma della giustizia, ossia il tema attraverso cui si potrebbe giungere a un riequilibrio politico. L'argomento è controverso, ma oggi si può immaginare che il Parlamento non sarebbe ostile a pronunciarsi nel merito. A condizione, è ovvio, che Berlusconi – ormai condannato dalla legge – non abbia alcuna parte nel processo di riforma. La strada è a dir poco in salita, ma è l'unica via.

L'anno zero dei moderati. Sullo sfondo ci si domanda cosa accadrà all'area moderata, oggi scombussolata dall'epilogo della vicenda berlusconiana. Mario Monti aveva tentato una riaggregazione, ma sappiamo come è andata. Casini e l'Udc sono ridotti per adesso ai minimi termini. I ministri moderati del Pdl non dispongono di una forza politica autonoma. Occorre, certo, una fase di rifondazione. Montezemolo ha colto il punto quando ieri ha posto il problema. Tuttavia su questo siamo all'incirca all'anno zero. Quel che è certo, i moderati non scompaiono con l'eclissi del berlusconismo. Al contrario, dovranno cercare di assumere un'altra forma politica: in Italia essi sono sempre stati maggioranza e sarebbe strano se oggi non trovassero il modo di esprimersi. C'è Matteo Renzi, è vero. Ma le sue continue indecisioni, unite alla lotta interna al Pd, incomprensibile ai più, rischiano di far tramontare la sua stella anzitempo. Eppure nei prossimi due o tre mesi la questione della rinascita dell'area moderata potrebbe porsi in forme urgenti e pressanti.

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