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Questo articolo è stato pubblicato il 04 agosto 2013 alle ore 08:27.

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«Sonore» spia l'evasione oltreconfine

Una squadra in ogni direzione regionale, e soprattutto un nuovo segugio informatico, per intercettare l'evasione che sottrae risorse al Fisco italiano superando impunemente i confini nazionali. L'evasione internazionale è uno dei capitoli chiave della strategia dei controlli messa nero su bianco dall'agenzia delle Entrate nelle istruzioni appena girate agli uffici sparsi sul territorio (circolare 25/E/2013, su cui si veda anche Il Sole 24 Ore del 1° agosto).

Non si tratta naturalmente di un sentiero inesplorato, come mostrano i casi di vip di prima o seconda fila che periodicamente finiscono nelle pagine di cronaca per le loro finte residenze in qualche vicino paradiso fiscale: la stessa Agenzia sottolinea i risultati ottenuti negli ultimi anni anche grazie al lavoro fianco a fianco con la Guardia di Finanza, ma il 2013 promette un deciso salto di qualità. Anche perché il «Sonore» permetterà «per la prima volta», come sottolineano le istruzioni agli uffici locali, di stanare gli stranieri che vivono e lavorano in Italia, ma hanno trascurato qualsiasi rapporto con il nostro Fisco. Ma che cos'è il «Sonore»?
È un nuovo strumento informatico, che ha cominciato a "girare" nelle scorse settimane e ora è atteso alle prime prove sul campo, e rappresenta l'ultima evoluzione del Fisco telematico, che si nutre con l'incrocio dei dati presenti nelle tante costellazioni dell'anagrafe tributaria. Non solo: per agire in entrambe le direzioni, e intercettare non solo gli italiani che spostano risorse fuori dall'Italia ma anche gli stranieri che operano "silenziosamente" (per il Fisco) in Italia, l'occhio informatico leggerà anche tutte le informazioni che arrivano dalla platea di Paesi, in aumento, con i quali è attivo lo scambio automatico di dati. Per fare solo un esempio, quando un cittadino francese affitta o acquista un immobile in Italia, il nostro Paese trasmette l'informazione all'amministrazione di provenienza, e lo stesso fa la Francia con noi.

I filoni di indagine, insomma, arricchiscono gli strumenti classici con cui le varie articolazioni dell'anagrafe tributaria guardano all'evasione made in Italy. Nel caso di un professionista straniero che guadagna redditi in Italia, ma non avverte il Fisco, potrà rivelarsi essenziale la titolarità di un contratto di affitto o di acquisto di un immobile, ma anche chi intende avere da noi una presenza più "discreta" difficilmente potrà sfuggire alle ritenute d'acconto che saranno operate dal privato con cui lavora. Nella maggior parte dei casi, le convenzioni con gli altri Stati prevedono che la ritenuta operata nei confronti di un non residente sia del 30 anziché del 20%, e questo dato fa accendere subito la spia sul problema. Ottenute le informazioni, che possono arrivare anche dalle utenze (gli allacciamenti al gas e all'energia elettrica impongono di comunicare il proprio codice fiscale, ovviamente a prescindere dall'eventuale locazione in nero), è sufficiente che la presenza in Italia sia documentata per più di sei mesi all'anno per far scattare l'obbligo di pagare le nostre imposte.
Gli incroci telematici promettono però di intensificare anche la caccia agli italiani che spostano redditi e ricchezze fuori dai confini per sottrarle alla tassazione. Da questo punto di vista, il primo segnale arriva dalla residenza oltreconfine, che comporta l'iscrizione all'Aire (anagrafe degli italiani residenti all'estero). Questo dato viene trasmesso dal Comune, che può facilmente incrociarlo con altri fattori in grado di indicare in modo inequivocabile la presenza del contribuente ufficialmente lontano: anche in questo caso basta esaminare i consumi di energia e rifiuti o le bollette Tarsu per rilanciare uno dei filoni più promettenti nella lotta all'evasione congiunta fra Stato e Comuni (in settimana sono stati diffusi i dati che mostrano il netto aumento delle attività dei sindaci su questo terreno). L'amministrazione centrale, sul punto, interviene poi con strumenti anche più potenti, a partire dall'anagrafe dei conti che registra tutti i rapporti bancari attivi in Italia, e il cerchio si chiude. O, almeno, ci prova.

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