Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 08 agosto 2013 alle ore 07:42.

My24

Se due banchieri centrali (Ben Bernanke, capo della Fed, e il neopresidente della Bank of England, Mark Carney) hanno deciso di legare la loro azione all'abbattimento del tasso di disoccupazione significa che il tema del lavoro è diventato "sacro" quanto quello della moneta.

Le soluzioni prospettate dal Governo Letta nel decreto lavoro che ieri è stato trasformato in legge dalla Camera non sembrano ancora all'altezza di questa svolta epocale, ma vanno nella direzione giusta seppure ancora scarseggino quanto a risorse finanziarie.
È importante l'azione, semplice e diretta, dell'incentivazione delle assunzioni stabili e del bonus per le trasformazioni dei contratti a termine in rapporti full time. Ha una dote di un po' meno di 800 milioni su più anni: poco purtroppo. Il potenziale su cui punta il ministro Enrico Giovannini è di 100mila nuovi occupati in tre anni. I disoccupati in Italia sono oltre tre milioni e per raggiungere il livello di occupazione pre crisi – come stimato dal rapporto 2013 dell'Ilo – serviranno almeno 1,7 milioni di posti di lavoro in più. Va apprezzata la buona volontà dunque, ma l'impegno resta ancora gravoso.
Nè avrebbe senso ricorrere a espedienti statistici come sono i "contratti a zero ore" adottati in Gran Bretagna che abbattono di un milione di unità i senza lavoro (senza però che abbiano una vera occupazione se non quella di avere dato la disponibilità totale a lavorare se chiamati). Nè l'Italia potrebbe contare su dispendiosi lavori socialmente utili (su cui punta ora la Francia): il piatto piange.

È inevitabile per il Governo Letta muoversi, in questa fase, a piccoli passi: va in questa direzione anche la riduzione – preziosa – del tempo di sospensione tra un contratto a termine e un altro (prima dilatata dalla riforma Fonero) e il rifinaziamento delle forme di autoimprenditorialità così come l'istituzione di nuovi tirocini per ridurre le file di chi non studia e non lavora. È stata impostata un'azione importante di rilancio dell'apprendistato che darà frutti in futuro quando l'Italia finalmente si sarà chiarita le idee su come adottare il modello scuola-lavoro alla tedesca.
Fin qui i piccoli passi. Ora sarà importante che le parti sociali prospettino quanto prima l'avviso comune sui contratti sperimentali legati alle attività dell'Expo. Finora Governo e Parlamento non sono stati in grado di crearli per legge e, dunque, il ruolo di imprese e sindacati è, in questa fase, doppiamente rilevante: sia per il risultanto concreto cui sono chiamati a concorrere (più forme di occupazione flessibile e moderna); sia per il ruolo strategico demandato dalla politica, ancora una volta, ai rappresentanti dei corpi intermedi. La "tattica del formicaio" (una briciola per ogni insetto) adottata nelle misure sul lavoro e anche nelle misure per l'industria previste dal Decreto del fare possono davvero produrre risultati incoraggianti e forse non prevedibili se letti solo singolarmente e non nella loro azione cumulata. E forse è anche in riferimento a questo che Enrico Letta ha ribadito ieri alla Fiat che in Italia è possibile fare impresa.

Il potenzimento del fondo per le Pmi, l'introduzione della mini-Sabatini per chi investe in macchinari e impianti hi tech, gli alleggerimenti burocratici nella giustizia civile e nelle procedure di attivazione di nuove iniziative e nuove opere, gli sconti sui costi dell'energia, i bonus per il rilancio di settori sensibili come l'edilizia e il suo indotto danno luogo a una vasta azione di micro interventi utili a liberare energie vere per lo sviluppo. Questa strategia, però, diventerà davvero efficace se troverà il coronamento in un nuovo Patto fiscale tra Stato e cittadini. Solo all'interno di un vero ridisegno di tasse e imposte per ridurre il peso del cuneo fiscale su lavoro e imprese sarà davvero possibile creare le condizioni per un rilancio, potente e duraturo, dell'economia. E solo così sarà possibile finalmente aggredire i drammatici numeri del lavoro di un'Italia che oscilla tra il 39,1% di giovani disoccupati in patria e drappelli consistenti di giovani cervelli in fuga all'estero; tra il 12,1% di senza occupazione tout court e un crollo del 30% nella richiesta da parte delle imprese anche di lavoratori immigrati. In questa Italia anemica che non trova nemmeno più la convenienza ad assumere extracomunitari, una ripresa, debole e molto diluita, è forse alle viste. Sarebbe un delitto se venisse sprecata dal cicaleccio molesto di partitocrazie inconcludenti e rissose.

Shopping24

Dai nostri archivi