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Questo articolo è stato pubblicato il 15 agosto 2013 alle ore 15:26.

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Dilemma italiano. Siamo all'ultimo minuto della recessione o stiamo sperimentando il primo istante della ripresa?Al gioco di società dell'estate - iniziato quando sono comparsi alcuni indicatori con il segno più dopo una lunga litania noir di numeri ultrarecessivi - Eurostat, con il suo Pil a -0,2%, ha aggiunto un altro argomento di discussione. In particolare per gli economisti. I quali non sono dei cartomanti o degli aruspici.

Ma, soprattutto quando sono abituati a sporcarsi le mani con la realtà, possono formulare una serie di ipotesi di lavoro sul punto in cui si trova la notte dell'economia italiana. Sì, perché il -0,2% del Pil nel secondo trimestre, calcolato da Eurostat, rappresenta una bella sfida interpretativa.
«Di certo l'intonazione ultranegativa per l'economia italiana sembra archiviata - dice Sergio De Nardis, capo ufficio studi di Nomisma ed ex direttore dell'unità macroeconomia dell'Isae - il problema però è capire da che cosa è composto quel -0,2 per cento. Per la prima volta risulta difficile attribuire all'export quella che, nonostante il segno meno, è una performance tutt'altro che cattiva». All'export, all'interno di una visione dell'economia italiana fondata sul manifatturiero, si attribuisce di solito una funzione quasi salvifica. In questo caso il nesso causa (spinta dell'export) effetto (contrazione del Pil quasi ridotta a zero) non regge. Nel secondo trimestre, infatti, l'export italiano è cresciuto poco: +0,4 per cento. «Si tratta di una variazione calcolata a valori correnti - nota De Nardis - ma, anche se la si depura dei prezzi all'export che in quel periodo sono calati dello 0,2%, le esportazioni in volume non dovrebbero essere aumentate più dello 0,6 per cento. Dunque, non così tanto da attribuire ad esse la forza di un catalizzatore». A questo punto, ecco che l'unica ipotesi plausibile è un'altra: «Potrebbe essersi attutita la caduta della domanda interna», azzarda De Nardis.

La domanda interna non va però intesa nel senso delle famiglie e dei singoli consumatori, dato che questa componente oggi in Italia - fra calo dei redditi reali, perdita effettiva o potenziale del posto di lavoro, erosione dei risparmi - è molto sotto pressione.
La domanda interna va intesa nella sua componente più produttiva: «Per esempio - continua De Nardis - come ricostituzione delle scorte delle imprese». Peraltro, l'ipotizzata attenuazione della caduta della domanda interna non appare imputabile a una ripresa del ciclo degli investimenti. «È difficile sostenerlo - spiega Alessandra Lanza, responsabile delle strategie industriali e territoriali di Prometeia - dato che il nostro sistema imprenditoriale sta già affrontando il rallentamento della crescita nei Paesi emergenti, un fenomeno che potrebbe sfibrare la dinamica del nostro export. Forse, nei prossimi mesi, i nuovi incentivi pubblici sui macchinari potrebbero influire sulla riqualificazione industriale e, appunto, sulla domanda interna».

Fra la certezza dell'indebolimento dell'export e la congettura di una stabilizzazione della domanda aggregata interna, esiste un tema di fisionomia profonda della natura del Paese. «I tedeschi e i francesi si sono dimostrati ben più pronti di noi ad assorbire la spinta dei mercati internazionali - nota il macroeconomista di Tor Vergata Luigi Paganetto - e, anche questo, conferma la correttezza della linea interpetativa sui 25 anni di nostri ritardi tracciata dal governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco nelle sue ultime Considerazioni finali. Ecco perché dobbiamo tornare a impostare politiche di lungo periodo. Per liberare le energie delle imprese. E per liberare tutta la società italiana dai troppi blocchi e impedimenti».
La dinamica economia-società, mercati esteri-domanda interna va vagliata con attenzione. «La nostra storia industriale - sottolinea Emiliano Brancaccio, economista di ispirazione marxista e postkeynesiana dell'università del Sannio - è quella di un Paese orientato ai mercati stranieri. Tuttavia, oggi il nostro grado di apertura è relativamente minore rispetto ad altre realtà: secondo Eurostat in Italia il rapporto fra export e Pil è pari al 30,2%, mentre in Germania vale il 51%».

Dunque, per quanto il fattore dell'export sia importante, la componente della domanda interna è strutturalmente strategica. «Nella domanda interna - osserva Brancaccio - conta non poco la capacità di generare reddito e di spendere delle singole persone. Un problema non irrilevante, a questo punto, è la disoccupazione. Per ridurre la quale ci vorrebbe una crescita del Pil non inferiore all'1,5 per cento. Un miraggio, oggi».
Nella ridda interpretativa sull'attuale passaggio dell'economia italiana, un punto fermo c'è: il 10 settembre l'Istat presenterà i conti economici del secondo trimestre e, dunque, si capirà qualcosa di più su come è composto questo -0,2% del Pil su cui tutti si affannano.

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