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Questo articolo è stato pubblicato il 03 settembre 2013 alle ore 07:15.
Se «comprare tempo» fosse un fattore di crescita, l'Italia non avrebbe rivali e sarebbe il Paese più competitivo e ricco del mondo. Purtroppo non è così, e non certo da oggi. Che siano gli anni della Prima repubblica, del bipolarismo muscolare, delle "strane" maggioranze o delle "larghe intese", la realtà finisce per concretizzare lo scenario opposto.
L'arte del rinvio, del posticipo in vista della prossima, fondamentale scadenza, produce non punti di Pil ma incertezza e frustrazione a dispetto delle più svariate "cabine di regìa".
Il primo tempo non è finito, ed il secondo, sollecitato adesso dal documento congiunto Confindustria-sindacati, non è ovviamente iniziato. Sia chiaro, il governo Letta ha segnato una discontinuità concettuale e operativa importante in termini di attenzione e sostegno alla crescita in Italia e in Europa, come dimostrano molti provvedimenti adottati, a partire dallo sblocco dei debiti della PA. Ma è evidente che troppe partite restano di fatto aperte, in attesa di una soluzione che a sua volta ne pregiudica delle altre. Da qui una navigazione a vista ora necessaria, ora, e più spesso, dettata dall'esigenza di preservare un fragile equilibrio politico sul quale si scaricano tensioni (caso Berlusconi, lotte interne al Pd) paralizzanti. Ne esce così il disegno, paradossale, di una rotta stabile nell'instabilità, soggetta a curvature e retromarce improvvise.
La vicenda Imu è esemplare. Partita davvero chiusa? Non pare proprio. È definita la questione della rata soppressa di giugno (a prezzo tra l'altro della desapareicida deduzione Imu dal reddito d'impresa pagata sui capannoni e della minore detraibilità delle polizze vita e infortuni), c'è un impegno politico per azzerare la seconda rata di dicembre (ma bisogna indicare le coperture finanziarie) ed il futuro di chiama Service tax. Un'imposta ancora tutta da scrivere nella quale anche la scommessa della prima casa totalmente esentasse attende una verifica nei fatti.
Ci si domanda poi se, alla fine, l'operazione Imu-Service tax si tradurrà in un'ulteriore arrampicata della pressione fiscale.
Vale la pena ricordare che nel 2009 la legge delega sul federalismo fiscale (voluta fortemente dalla Lega, approvata a larghissima maggioranza e con l'astensione del Pd) prescriveva che la riforma avrebbe dovuto realizzarsi senza aggravio della pressione fiscale complessiva. Obiettivo da libro dei sogni, considerando che negli ultimi vent'anni le tasse nazionali sono raddoppiate e le imposte federali sono cresciute cinque volte.
Con apprezzabile franchezza il sottosegretario all'Economia Pier Paolo Baretta ha detto che entro il mese prossimo e comunque entro la Legge di stabilità il Governo deve trovare due miliardi per la seconda rata Imu, un miliardo per lo stop Iva (ma «l'aumento dell'Iva non si può evitare per sempre») e un miliardo per la Cig e le missioni all'estero, al netto di possibili nuove emergenze. Questione che, secondo Baretta, «non si può affrontare sfogliando i pezzi uno alla volta». Occorre insomma un «chiarimento politico» sulle priorità.
È il segnale che la navigazione a vista non può continuare, che governare significa scegliere e che sulla frontiera della Legge di stabilità, in pratica la vecchia Finanziaria, sta per aprirsi una partita decisiva. Non a caso imprenditori e sindacati hanno sottoscritto un documento congiunto per la crescita in cui si difende il valore della governabilità ma a patto che si traduca in una soluzione ai «problemi reali». E in testa al lungo elenco delle proposte, dopo aver notato criticamente che le iniziative (leggasi taglio Imu) per assicurare la governabilità «hanno sottratto risorse che sarebbero state meglio impiegate» c'è la richiesta di ridurre il carico fiscale su lavoro imprese. Una manovra che per dare una vera scossa al Pil necessita di grandi risorse, impensabili se non a fronte di una spending review che abbia l'ambizione di una riforma del sistema della spesa pubblica, come del resto chiesto – ecco un passaggio importante e non scontato – da imprenditori e sindacati. Nel giorno in cui anche la Fiat torna a chiedere una legge sulla rappresentaza sindacale e l'esigibilità dei contratti come condizione decisiva per continuare a fare industria in Italia.
L'iniziativa di Confindustria, Cgil, Cisl e Uil è stata ben accolta dal premier Enrico Letta. Al suo "governo di servizio" spetta, nel rispetto degli impegni presi in Europa, un cambio di passo facendo tutto il possibile per alimentare la crescita. Non è più tempo di "comprare" tempo.
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