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Questo articolo è stato pubblicato il 15 settembre 2013 alle ore 18:14.

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Nella foto l'Aula della Camera dei DeputatiNella foto l'Aula della Camera dei Deputati

Arriva martedì in aula alla Camera per il primo esame il disegno di legge che cancella il carcere per i giornalisti, riforma gli obblighi di rettifica e li estende a testate radio-televisive e web (blog esclusi). Il testo, che allinea la disciplina italiana a quella dei principali Paesi europei, sostituisce la pena detentiva con una multa di diversa entità a seconda dei casi: si tratta di un passaggio importante, che apre però qualche nuovo problema e soprattutto rischia di non essere definitivo.

Rettifiche su tutti i mezzi

La proposta, che fonde diversi disegni di legge ed è stata portata avanti da un relatore Pdl (Enrico Costa) e da un suo collega del Pd (Walter Verini), aggiorna la legge sulla stampa che risale al 1948, e prova ad adeguarla a un panorama dell'informazione che ha ormai solo lontane parentele con quello dell'immediato dopoguerra. Per questa ragione, prima di tutto la nuova regola estende la disciplina della legge sulla stampa, obblighi di rettifica in primis, alle testate giornalistiche radio-televisive e a quelle on-line, purché registrate. Quest'ultima precisazione esclude blog e siti personali dagli obblighi di rettifica, ma la regola può comunque creare qualche problema operativo anche alle testate web registrate, a partire dai siti internet dei giornali. Lo rileva la stessa commissione Trasporti e telecomunicazioni della Camera, quando sottolinea che nulla esclude dall'applicazione dei nuovi obblighi le parti dei siti non direttamente controllati dalle redazioni, come per esempio i commenti dei lettori: in qualche caso, quindi, potrebbe scattare la richiesta di rettifica alla testata per un commento pubblicato da un lettore.

Rettifiche senza commento

Testate radio-televisive e telematiche sono quindi destinatarie delle nuove regole della rettifica, che cambiano ovviamente anche per i giornali cartacei. Il Ddl cambia il primo articolo della vecchia legge sulla stampa, precisando che la rettifica chiesta da chi si ritiene leso da una notizia vada pubblicata «gratuitamente e senza commento» entro due giorni dalla richiesta. Un'applicazione rigida di questa regola impedirebbe quindi all'autore dell'articolo, o alla testata, di rispondere, aggiungere elementi o spiegare il contesto in cui è nato l'articolo o l'inchiesta che dà luogo alla richiesta di rettifica, lasciando voce solo a chi si ritiene offeso.

Diffamazione

L'intervento sulla diffamazione serve a cancellare la peculiarità italiana del carcere per i giornalisti, tornata di attualità dopo i casi di Alessandro Sallusti (direttore del Giornale) e di Giorgio Mulé (direttore di Panorama), condannati a pene detentive per "omesso controllo" su articoli accusati di aver diffamato dei magistrati. Al posto del carcere da uno a sei anni si prevede una sanzione da 5mila a 10mila euro, che può poi alzarsi fino a quota 60mila euro quando l'offesa nasce dall'attribuzione consapevole di un fatto falso (in questo caso la sanzione minima è di 20mila euro): una sanzione che non cancella la qualifica penale della diffamazione, e che dà quindi luogo per i "recidivi" alla pena accessoria dell'interdizione dalla professione per un periodo da uno a sei mesi. La pubblicazione della rettifica, purché naturalmente risponda ai requisiti di legge, mette al riparo dalla condanna. Un piccolo argine prova a essere alzato contro le "querele temerarie", cioè prive di basi reali, spesso utilizzate come strumento di minaccia (con richieste risarcitorie anche di svariati milioni di euro) più che come mezzo per ottenere un diritto: in questi casi si prevede che il giudice possa condannare il querelante a una sanzione da mille a 10mila euro, cifre che certo non sono in grado di fermare questa pratica seguita in genere da chi ha potere e forti disponibilità economiche.

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