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Questo articolo è stato pubblicato il 15 settembre 2013 alle ore 20:01.

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Giochiamo a capire l'economia: da domani con «Il Sole 24 Ore» la collana dedicata ai bambini

L'età della ragione...: così viene chiamata la soglia dei 6 anni, quando si comincia ad andare a scuola. Abbandonati i capricci dei "terribili due anni" (vedi https://sites.google.com/site/telosistemoioilpupo/contenuti/scatti-d-ira-e-terribili-due-anni), che fortunatamente scompaiono verso i 4-5, l'ex-infante varca quella soglia ed entra in un altro pianeta: un mondo striato da diritti e doveri, da ortografia e aritmetica, da storia e geografia...

E l'economia? La domanda potrà stupire. Cosa c'entra l'economia con quella tenera età? L'economia è associata, più che ai grambiulini, a signori incravattati e dame in tailleur che vi sciorinano le condizioni per avere il mutuo e indagano, indelicatamente, sui vostri redditi e sui vostri possessi. Vogliamo davvero prendere un allegro bambino o una scapigliata ragazzina e strofinargli il naso negli interessi e nei cambi, nei sordidi commerci e negli spietati do ut des che dominano le aride distese del sistema economico?

Quella fascia di età - dai 6 ai 9 anni - cui si rivolge questa "Avventura nel mondo dell'economia" potrà ben incorniciare il tempo di un doveroso primo incontro col mondo reale, ma in quegli anni cruciali - diranno molti - si dovrebbe anche mantenere alta la fiaccola dell'idealismo, del sogno, della fiaba, dell'ambizione struggente verso un mondo migliore. Oscar Wilde ha scritto: «Un mappamondo nel quale non figurasse l'utopia non meriterebbe di essere guardato, perché gli mancherebbe l'unico Paese che l'Umanità visita giorno dopo giorno». Scagliando in faccia a quei bimbi le realtà dell'economia non si rischia di spegnere i sogni anzitempo e di trasformare le scolaresche in piccoli discepoli del "massimo risultato col minimo mezzo"?

La scuola è lavoro, ma è anche divertimento, chiasso e gioco. Il mondo del lavoro, invece, è lavoro e basta. Ci sarà tempo per penare alla ricerca di un posto e preoccuparsi dei prezzi e dei salari, arrivare alla fine del mese senza intaccare i risparmi... Lasciate, insomma, che i piccoli siano piccoli e non metteteli prima del tempo a confrontarsi con problemi più grandi di loro.

Obiezioni pensose, queste. Ma ignorano un punto fondamentale: anche se io o mio figlio o il mio nipotino non ci vogliamo occupare di economia, l'economia si occupa di noi. I bambini fanno presto a fare una differenza fra ricchi e poveri. E non è male cominciare a spiegare, a quell'età, quali sono le ragioni di questa differenza. E l'economia, oltre a occuparsi, appunto, di economia, è anche un modo di pensare, di guardare ai rapporti di causa/effetto cercando le vere cause e i veri effetti (nell'Ottocento in Russia i paesani vedevano che nei villaggi con molti casi di vaiolo venivano più spesso i dottori, quindi prendevano a fucilate i dottori…), di non fermarsi di fronte agli slogan e rendersi conto della complessità dei problemi. In America circola una maglietta con su scritto: "Buy American", "comprate americano"; l'idea è che comprando cose americane si sostiene l'economia, si conservano posti di lavoro in America. È giusto, è sbagliato? Ricordiamoci l'aureo principio: se uno slogan è così corto da trovar posto in una T-Shirt, è quasi certamente sbagliato.

Alle elementari si comincia a studiare la storia, ed è giusto. Ma non si può capire la storia - e questo è vero non soltanto alle elementari - se non si capisce qualcosa anche delle grandi forze economiche che plasmano la vicenda delle nazioni. Marco Aurelio scrisse: «Tutto fa parte della grande ragnatela», ed è vero. Il mondo è complicato e così l'economia, che non è altro che una rappresentazione del mondo; ma i fili della ragnatela sono connessi in tanti modi (più che in una ragnatela vera); il che spiega anche perché gli economisti hanno tanti pareri diversi...È vero, l'economia è anche soggetta a mode e cambia spesso dottrine, ma in un certo senso questa volubilità la rende più interessante: un grande economista dell'Ottocento, Alfred Marshall, disse: «L'economia non è un ricettacolo di verità concrete, ma un modo per cercare quelle concrete verità».

Quando un bambino o una bambina sanno che sta per arrivare un fratellino si preoccupano. Magari dai 6 anni in poi sono abbastanza maturi da non preoccuparsi più, ma possono ricordare quel che avevano provato; e la preoccupazione sta nel pensare che l'amore materno sia una quantità fissa: se deve essere diviso con un nuovo arrivato, ce ne sarà meno per te. Ebbene, l'economia insegna che lo stesso sbaglio del bambino viene replicato da quegli adulti che pensano che facendo lavorare ognuno meno ore, si potrà aumentare l'occupazione; come se la quantità di lavoro nel sistema economico fosse una quantità fissa. Questa "Avventura nel mondo dell'economia" è un esperimento che Il Sole 24 Ore ha voluto tentare. É possibile parlare ai bambini di economia? Pensiamo di sì, e saremo grati ai lettori, piccoli o grandi, per ogni commento o critica.

fabrizio@bigpond.net.au

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