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Questo articolo è stato pubblicato il 01 ottobre 2013 alle ore 07:05.

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Man mano che si avvicina l'ora X del dibattito parlamentare (domani mattina, con le comunicazioni di Letta in Senato), la faccenda s'ingarbuglia invece di chiarirsi. Sembra proprio che Berlusconi stia cercando di cambiare posizione, o meglio di tenerne due opposte.

Berlusconi è in ambasce,impressionato dalle reazioni internazionali e forse ancor di più dal commento sferzante dell'"Osservatore Romano". L'uomo dice e si contraddice, nella speranza di giocare con tutte le carte del mazzo: il che è impossibile. Evidentemente si rende conto che il passaggio parlamentare rischia di essere un salto nel vuoto anche per lui, il suo partito, i suoi amici, l'impero economico di famiglia. Il colpo ricevuto ieri da Mediaset in Borsa è un segnale alquanto esplicito. Vediamo allora le principali contraddizioni in cui si dibatte un centrodestra ormai privo di una leadership coerente.

Punto primo: le cosiddette "dimissioni" dei parlamentari del Pdl. Qualche giorno fa erano state la prima mossa dirompente. Presentata con enfasi mediatica, si è rivelata uno scherzo di cattivo gusto, per di più irrealizzabile. Si è capito subito che al massimo poteva trattarsi di un abbandono provvisorio delle aule di Camera e Senato (l'Aventino della destra). Ma adesso neanche più quello. Dimissioni "congelate", cioè ritirate.
Secondo punto. Le dimissioni dei ministri. Sono state firmate, ma stranamente non sono operative. Tanto è vero che l'incarico di ministro dell'Interno, per fare un esempio, non è stato assunto "ad interim" dal presidente del Consiglio. Alfano è ancora al suo posto, anche come vicepremier. Il che aiuta forse a capire perchè nemmeno Letta si è dimesso al Quirinale, rinviando tutto all'appuntamento di domani. Da parte sua Berlusconi non ha risolto il rebus. Da un lato afferma che l'esperienza delle larghe intese è finita (frase certo gradita a quanti nel Pd la pensano allo stesso modo e, come D'Alema, guardano a elezioni non lontane). Dall'altro sostiene di esser disposto a votare la legge di stabilità, l'abbattimento dell'Imu e l'Iva purchè tutto avvenga entro «sette giorni» per poi correre alle urne. Ma alla vigilia di Letta in Parlamento cosa vuol dire la frase un po' criptica? Che il Pdl è disposto a votare la fiducia? Non è chiaro, ma la contraddizione è palese.

Punto terzo. Qui ha ragione Cicchitto, ieri sera il più esplicito dei dissidenti. Se i ministri sono dimissionari, non c'è più altro da fare. Ma allora non ha senso parlare di legge di stabilità, di Imu, Iva e nemmeno di sette giorni per votare i provvedimenti. Se invece i ministri ritirano le loro dimissioni fantasma, allora il governo resta in carica e in tal caso occorre votargli la fiducia. Insomma, delle due l'una. Berlusconi dà l'idea di oscillare fra le due ipotesi senza una bussola precisa.
Nessuno in realtà crede che ci siano i tempi per andare a votare alla fine di novembre. La legge di stabilità non è una seccatura da sbrigare in sette giorni. E lo stesso Berlusconi sembra rendersi conto che non può caricarsi sulle spalle il peso del disastro derivante dalla mancata approvazione di quel testo. Non solo: all'inizio di dicembre è attesa la sentenza della Consulta sulla legge elettorale. Come si può votare proprio in quei giorni con una legge che può essere dichiarata incostituzionale, in tutto o in parte? Ieri sera Berlusconi ha cercato soprattutto di tenere unito il partito e di non irritare i "moderati", tutti potenziali scissionisti. Ma per essere convincente dovrà uscire dal dibattito in Parlamento come colui che ha ceduto al buonsenso e al realismo, non come l'uomo del terremoto.

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