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Questo articolo è stato pubblicato il 05 ottobre 2013 alle ore 10:30.

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Come uno schiaffo in piena faccia è arrivata la tragedia di Lampedusa. Una tragedia che, con il suo carico di morti, ci ha svegliato d'improvviso da un sogno che era un incubo e ci ha riportato alla realtà. La realtà di un Paese che ha bisogno di essere governato, che non se ne fa niente di una politica fatta da maschere livide che cercano solo di salvare se stesse, in una rappresentazione grottesca e cinica di anime perse.

Un Paese che ha bisogno, per esempio, di un ministro dell'Interno che faccia il titolare della sicurezza e dell'ordine pubblico, che tuteli davvero le vite delle persone. Quanto è fatuo d'improvviso il dibattito sugli alfaniani, sul quid, sui gruppi autonomi del Pdl. Quanto è abissale il salto dalle ossessive dirette televisive sul teatro della cattiva politica alle sequenze di corpi senza vita di Lampedusa.
È la realtà che si impone e ci scuote, con il suo manifestarsi in tragedia, dalla subrealtà della rappresentazione politica nella quale siamo costantemente immersi. C'è un Paese vero, c'è vita e c'è morte, che chiede, esige, pretende. Chiede di essere governato, pretende che qualcuno se ne occupi.
Lo pretende il sogno di chi ieri si è fermato a un passo dalla terra italiana, lo pretende l'esigenza di futuro dei giovani senza lavoro che si sentono abbandonati dalla politica, lo pretendono i tanti che il lavoro lo perdono quando si è troppo vecchi per ricominciare e troppo giovani per avere una pensione, lo pretende chi non ne può più della spirale depressiva di debiti, cancelli che chiudono, saracinesche che si abbassano.
È questa l'Italia che chiede un governo che governi, che esige finalmente una politica migliore. Da oggi lo dobbiamo a quei morti, morti italiani, prima ancora che a noi stessi.

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