Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 09 ottobre 2013 alle ore 16:07.

My24
Adriano Galliani (Ansa)Adriano Galliani (Ansa)

«Sul provvedimento delle porte chiuse per Milan-Udinese faremo ricorso in tutte le sedi. Faremo ricorso in tutte le sedi in cui sia possibile ricorrere». Lo ha annunciato l'amministratore delegato del Milan, Adriano Galliani. Il club rossonero presenterà reclamo contro la decisione del giudice sportivo di chiudere San Siro per la gara contro l'Udinese, a causa dei cori contro i napoletani nel match di domenica scorsa allo Juventus Stadium. «Quella della normativa in questione é materia del Consiglio Federale. E proprio al Consiglio Federale oggi si é rivolto il presidente della Lega di Serie A, Beretta», ha spiegato Galliani. Consiglio che infatti esaminerà il tema della chiusura degli stadi per discriminazione territoriale nella sua prossima seduta, come ha annunciato il presidente Giancarlo Abete. La data non è stata tuttavia ancora stabilita, «essendoci un procedimento appellato ancora in corso», ovvero il ricorso Milan.

«Abbiamo spedito formalmente alla Federcalcio la lettera per modificare la norma sulla discriminazione territoriale», le parole del presidente dell'organismo che rappresenta i club del massimo campionato. Una presa di posizione netta e decisa rispetto a un problema, quello dell'interpretazione della disposizione Uefa, che ha messo d'accordo buona parte delle società di A. L'obiettivo è presto detto: evitare che un gruppo di tifosi intemperanti e poco rispettosi possa mettere sotto scacco il calcio italiano.

Adriano Galliani ci era andato giù duro. A poche ore dalla decisione del giudice sportivo di chiudere San Siro per la prossima gara in casa del Milan a causa dei cori intonati allo Juventus Stadium di Torino dai tifosi rossoneri recidivi aveva detto: «La discriminazione territoriale esiste solo in Italia, l'Uefa parla di discriminazione razziale, quella territoriale ce la siamo inventata in Italia. Nessuno, tv, giornali, io che godo di buon udito, ha sentito questi cori. Sarebbero stati sentiti da funzionari della procura federale, forse li hanno sentiti in bagno, al bar o non so dove. È una norma perfetta, in un Paese dove nessuno va negli stadi chiuderli mi sembra geniale politicamente. La prossima volta c'è partita persa e penalizzazione e in trasferta non puoi curare i tuoi tifosi, sempre ammesso che abbiano fatto i cori: cinquanta persone che si mettono d'accordo uccidono una società, se questa è roba di buon senso». Ecco, appunto, il buon senso. La materia del contendere. Il confine, spesso sottile e fragile, tra uno sfottò che sa di insulto con il sorriso e un altro che sa di offesa grave e irripetibile.

Galliani ha lanciato il sasso, Beretta l'ha raccolto e l'ha girato a chi di dovere. «Noi siamo sempre stati in prima fila sul tema della discriminazione razziale – aveva detto ieri l'altro sul tema il presidente della Lega di Serie A -, ma il meccanismo per la definizione degli illeciti e l'apparto sanzionatorio così come viene usato rischia di consegnare il destino delle squadre e del campionato nelle mani di pochi irresponsabili e facinorosi. In Italia, poi, non c'è solo l'aspetto razziale ma anche il tema della discriminazione territoriale». Sì, perché dare del terrone a un napoletano non è uguale a dare del negro a un giocatore di colore, sostiene il consesso che amministra il pallone tricolore d'elite. Da qui, la lettera spedita poco fa da Beretta alla Federcalcio perché provveda a sistemare le cose. I tifosi sottoscrivono. E rilanciano: «Auspichiamo che tutte le curve facciano cori discriminanti per arrivare a una domenica di totale chiusura degli stadi», recita il comunicato diffuso ieri dagli ultras del Milan, a cui pare che abbiano già dato l'okay i cugini dell'Inter. Tutti contro la Figc, perché lo sfottò da stadio è tradizione e la tradizione, in Italia, soprattutto se si tratta di pallone, non va mai presa a calci.

Giancarlo Abete, presidente della Federcalcio, incassa e ammicca. «Una riflessione sulla modalità applicativa in relazione alle situazioni che intervengono è opportuna ed è un fatto naturale ma il quadro normativo è delineato e non è frutto di una decisione autonoma della Figc, ma di un sistema di contrasto recepito a livello internazionale», la sintesi del suo discorso poco dopo aver incontrato Giovanni Malagò, titolare della poltrona più importante dello sport nazionale (leggi Coni). Come dire, qualcosa si può fare ma senza andare contro una norma europea che non ammette repliche. Ed è su quel "qualcosa" che si concentra l'attenzione degli addetti ai lavori. Due i possibili interventi firmati Figc: aumentare la tolleranza, vale a dire punire soltanto i cori malevoli e manifesti in modo evidente, e circoscrivere la sanzione soltanto al settore dello stadio da cui hanno preso forma. Anche il presidente Uefa Platini ritiene che si debba «punire i
tifosi e non farli entrare negli stadi, al massimo chiudendone una parte».

Già, ma come reagirà il Coni al cambio di marcia della Federcalcio? Malagò ha le idee chiare. «Posso capire lo sfogo del presidente di turno che è penalizzato per colpa di una minoranza, ma ci si deve uniformare a quelle che sono le disposizioni dell'Uefa», ha detto il presidente del Comitato olimpico nazionale. E ancora: «Non possiamo fare un discorso su chi ha la pelle di un altro colore o su chi viene da un'altra città. Sarebbe paradossale». Soluzioni? Eccola: «Che il settore dello stadio interessato faccia qualcosa contro chi penalizza la propria squadra». In soldoni, il tifoso rispettoso ed educato dovrebbe chiedere la cortesia al tifoso maleducato e irrispettoso che gli sta davanti di moderare il linguaggio e riprendere il sorriso. La civiltà, prima di tutto. Una prerogativa di pochi che piace a pochissimi.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi