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Questo articolo è stato pubblicato il 11 ottobre 2013 alle ore 15:20.
L'ultima modifica è del 13 ottobre 2013 alle ore 13:31.
Mai una parola di pentimento per il proprio passato, mai un'espressione di comprensione per le vittime o le loro famiglie: per cento anni anni Erich Priebke è rimasto fedele a se stesso, ed a quello che ha fatto. Cioè: aver partecipato al massacro delle Fosse Ardeatine, aver partecipato fin dai suoi inizi alla campagna di soppressione fisica degli oppositori del nazismo voluta da Adolf Hitler in Germania, averla proseguita in Italia fino al giorno stesso dell'arrivo degli americani a Roma il 4 giugno 1944.
La storia dell'«uomo che spuntava la lista» inizia in un sobborgo di Berlino, negli anni immediatamente successivi alla disfatta nella Prima Guerra Mondiale. Famiglia modesta, studi in un istituto alberghiero, un primo soggiorno a Londra ed uno a Sanremo, come cameriere. Sembra che tutto inizi di lì, dall'amicizia con un maestro di sci che lo introduce al verbo del nazionalsocialismo. Lui, Priebke, sostiene invece di essere sempre stato un uomo come tanti, un semplice esecutore di ordini, uno che il poliziotto lo faceva perché doveva sbarcare il lunario, ed in fondo si trattava di un mestiere onorevole.
Il fatto è che lui entrava nella polizia di Berlino, e subito dopo confluiva nella Gestapo: la polizia segreta del regime. Di più: come emerse all'epoca del processo dal National Archives di Washington, Erich Priebke venne inquadrato nel Gestapa. Il Gestapa («Geheim Staatspolizei Amt») era l'ufficio preposto all'individuazione ed alla schedatura degli oppositori del regime nazista. Si trattava soprattutto di comunisti, cattolici e socialdemocratici.
A partire dal 1937 le SS, cui Priebke aveva nel frattempo aderito, iniziarono a rastrellarli. Finirono, a decine di migliaia, nel primo campo di sterminio del regime, quello di Sachsenhausen. Sempre nel 1937 il Giovane Erich dette una duplice svolta alla propria vita: sposò la ragazza di cui era innamorato e se ne andò a Roma, a fare da interprete ad Adolf Hitler in persona in occasione della visita ufficiale da Mussolini. A Roma sarebbe tornato un anno dopo, questa volta in pianta stabile, alle dipendenze di Villa Wolkonski, l'ambasciata tedesca presso il Regno d'Italia.
Qui conobbe l'uomo al quale il destino lo avrebbe legato: Herbert Kappler, giovane ufficiale delle SS anche lui, anche se di un grado superiore. Cosa facessero in realtà i due a Roma non si sa bene. Si sa che ad un certo punto un autorevole esponente della nobiltà nera romana gli affittò per pochi soldi una palazzina, uso ufficio, nei pressi di San Giovanni. A Via Tasso, dopo l'Otto Settembre, i capi della Resistenza romana venivano portati, torturati, qualche volta costretti a confessare. Spesso morivano. In fondo lo stesso mestiere, per Priebke, dei tempi del Gestapa.
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