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Questo articolo è stato pubblicato il 11 ottobre 2013 alle ore 07:15.

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Lo strano caso della guerra di Beppe Grillo al suo gruppo parlamentare (o viceversa, che è lo stesso), insegna almeno due cose.
La prima è che la crisi del sistema non risparmia nessuno. Sono storie diverse, certo, ma non è un caso se tutti i maggiori raggruppamenti presenti in Parlamento sono attraversati da profonde fratture interne: il Pdl, il Pd, per non parlare dei centristi. Ora anche i Cinque Stelle.

È il segno che non basta innalzare la bandiera dell'anti-politica per essere immuni dai mali che corrodono la sfera politica nell'epoca in cui mancano idee e ideali. Anzi, nel momento in cui deve abbandonare le facili invettive anti-casta, anche Grillo si accorge di quanto sia arduo mantenere la coerenza dentro un movimento in cui si raccolgono umori e malumori, sentimenti e risentimenti piuttosto che una visione della società.
Grillo ha dimostrato in febbraio di essere un eccezionale rabdomante del consenso elettorale. Ma oggi ha compreso qualcosa di ancor più importante, e cioè che quel consenso non si mantiene con la semplice ed estenuante ripetizione di slogan sempre uguali a se stessi. Specie quando non si riesce a incidere sulle politiche pubbliche. La relativa erosione del voto al M5S, che nei sondaggi ha perso 6-7 punti rispetto al dato delle urne, si spiega forse così: i Cinque Stelle appaiono come litigiosi e parolai, ottengono poco e si ripetono. Quindi il leader carismatico – ecco il secondo punto – non a caso cerca nuovi terreni di espansione.

Uno lo ha individuato nel "no" all'abolizione del reato di immigrazione clandestina. Si può capire la logica. Il tema è un cavallo di battaglia della sinistra. C'è stata la tragedia di Lampedusa che ha riacceso le emozioni dopo un lungo periodo d'indifferenza e non c'è da stupirsi che a Grillo appaia un errore politico-mediatico l'appiattirsi dei Cinque Stelle dietro la maggioranza "buonista" che si è palesata in Senato. Del resto, l'impronta del movimento grillino ha poco in comune con quel mondo. In febbraio il M5S ha raccolto tanti consensi anche fra gli ex elettori di una sinistra frastornata. Ma oggi – dopo i varchi aperti nel Pdl – è a destra che si può ottenere di più ed è con quell'elettorato che in fondo il movimento trova maggiori sintonie.

Come ha detto Casaleggio, l'alter ego del leader, «se in campagna elettorale avessimo parlato di abolire il reato di clandestinità avremmo raccolto lo zero virgola». Un argomento che potrebbe essere usato da Maroni quando si rivolge ai leghisti. Questo vuol dire qualcosa, nei giorni in cui i sondaggi francesi in vista delle europee proiettano il partito di Marine Le Pen al primo posto. Anche in Italia si voterà in primavera per le europee e ci sono pochi dubbi che Grillo abbia cominciato la rincorsa a un altro successo (anche considerando che la legge elettorale sarà proporzionale).
La curvatura a destra dei Cinque Stelle è abbastanza evidente e nessuno si meraviglierebbe se altri temi sul genere "legge e ordine" troveranno posto nel bagaglio dialettico del capo. Il che comporta, è comprensibile, forti frizioni interne e magari qualche ulteriore defezione dai gruppi parlamentari. Ma l'intuizione di fondo non è sbagliata. L'anti-politica grillina deve evolvere in qualcosa di diverso rispetto il recente passato, pena l'effetto saturazione. E poiché il baricentro delle larghe intese scivola a sinistra, ecco che Grillo, seguendo il proprio istinto, finisce per occupare uno spazio a destra. Sull'immigrazione e su altro.

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