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Questo articolo è stato pubblicato il 20 ottobre 2013 alle ore 14:19.
L'ultima modifica è del 20 ottobre 2013 alle ore 14:41.
Purtroppo questo non è un caso isolato. Nelle statistiche internazionali i manager italiani sono considerati tra i meno affidabili in Europa. E studi empirici dimostrano come questa mancanza di fiducia abbia l'effetto di ridurre gli investimenti stranieri in Italia. La mancanza di fiducia non è discriminazione contro di noi: gli stessi manager italiani considerano altri manager italiani tra i meno affidabili. D'altra parte, leggendo le cronache dei giornali come si può dargli torto. La menzogna è pratica corrente, anche nei migliori consigli di amministrazione e l'abuso di potere ai fini dell'arricchimento personale standard. Non passa giorno senza una rivelazione di comportamenti "singolari" da parte dei principali vertici aziendali del nostro Paese. Se non è Ligresti a vendere a caro prezzo le aziende decotte di famiglia agli azionisti Fonsai (come riportato dai giornali), è l'amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel ad aver firmato un patto segreto di protezione della famiglia Ligresti, anche se poi si è impegnato a uscire dalla logica dei patti di sindacato. Per non parlare delle rivelazione del nostro Claudio Gatti sul Sole 24 Ore sugli investimenti di Private Equity fatti dall'ex amministratore delegato di Assicurazioni Generali Giovanni Perissinotto e direttore generale Raffale Agrusti.
Perfino uno studio legale come Bonelli, Erede e Pappalardo, molto attento a dosare le parole, ha dovuto ammettere che «È possibile ragionevolmente concludere che nell'esercizio delle cariche e delle funzioni a ciascuno attribuite, sia Giovanni Perissinotto che Raffaele Agrusti, sotto diversi profili, non abbiano adempiuto ai loro doveri con la diligenza dovuta e nei limiti delle deleghe ricevute». Non solo queste scorrettezze non vengono sanzionate, ma vengono premiate con liquidazioni milionarie. Se questa è la nostra classe dirigente, perché uno straniero dovrebbe arrischiarsi ad investire in Italia?
Cosa può fare il governo - mi si dirà - contro questi episodi di cattiva gestione privata? Se i consigli di amministrazione di imprese private non ritengono nell'interesse aziendale sanzionare episodi di malagestio, cosa mai potrebbe fare il governo?
La protezione degli investitori è un bene pubblico e ancora di più lo è la reputazione dell'Italia all'estero. Il nuovo amministratore delegato di Generali ha tanti altri problemi gestionali da considerare. Perché dovrebbe mai perdere il suo tempo in una causa che - anche in caso di vittoria - porterebbe alla società solo pochi milioni? Ma se nessuno viene punito, gli standard di comportamento si deteriorano. Negli Stati Uniti il problema è stato risolto lasciando agli azionisti (e ai loro legali) fare causa. Con la securities class action bastano poche azioni per intentare una causa contro gli amministratori. A pagare alla fine è la società stessa che si trova costretta ad assicurarsi contro questi rischi. Ma almeno nel processo, i problemi vengono fuori e gli amministratori per lo più si comportano in modo onesto se non per correttezza professionale, almeno per paura della causa legale e dello scandalo che poi ne segue.
Un'alternativa è dare più poteri ai regolatori e soprattutto nominare a capo di essi delle persone ansiose di far rispettare la legge. Un rischio di questo sistema è un'intrusione del potere pubblico nelle decisioni private. Ma il rischio ancora più serio è che le eventuali pressioni politiche su regolatori possano bloccare anche il regolatore più ansioso di far rispettare la legge. Dove sono Consob e Banca d'Italia, che ora regola le assicurazioni? Entrambe le strade, quindi, hanno dei costi. Ma non seguire nessuna delle due significa condannare il Paese a morire. Per stimolare gli investimenti stranieri, non basta visitare Londra e New York, bisogna cambiare questo stato di fatti. Oggi. Domani è troppo tardi.
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