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Questo articolo è stato pubblicato il 27 ottobre 2013 alle ore 08:23.
L'ultima modifica è del 16 gennaio 2014 alle ore 22:15.

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Chissà se sulla dura reazione allo spionaggio americano di Angela Merkel e Dilma Rousseff ha inciso il vissuto personale: la giovinezza del cancelliere tedesco nella Ddr, dove le vite degli altri erano costantemente spiate dalla Stasi, quella del presidente brasiliano a combattere nella clandestinità la dittatura militare. Certo è che sono queste due donne a fare da catalizzatore di una protesta contro le intrusioni della National Security Agency che da europea si fa mondiale: su iniziativa di Germania e Brasile, 21 Paesi stanno preparando una bozza di risoluzione da far votare entro la fine dell'anno all'Assemblea generale dell'Onu per chiedere di limitare spionaggio e intrusioni nella privacy dei cittadini.
Tra quanti aderiscono all'iniziativa - secondo Foreign Policy - ci sono alleati americani, come Francia e Messico, e nazioni "rivali" come Cuba e Venezuela. A completare l'elenco Argentina, Austria, Bolivia, Ecuador, Guyana, Ungheria, India, Indonesia, Liechtenstein, Norvegia, Paraguay, Sudafrica, Svezia, Svizzera e Uruguay. Nel testo si riaffermano sostanzialmente i principi in materia di privacy contenuti nella Convenzione internazionale sui diritti civili e politici (un trattato delle Nazioni Unite entrato in vigore nel 1976), allargandone però l'ambito di applicazione a internet e alle nuove forme di comunicazione.

Le risoluzioni assembleari dell'Onu, a differenza di quelle approvate dal Consiglio di sicurezza, non sono vincolanti; tuttavia, nel caso in cui ricevano un ampio sostegno internazionale, possono acquisire un forte peso politico. Quello di Dilma Rousseff (e del presidente messicano Enrique Peña Nieto) è stato uno dei primi nomi di leader stranieri spiati emersi nel Datagate, lo scandalo delle intercettazioni ad opera dell'intelligence americana portato alla luce dall'ex tecnico dell'intelligence Edward Snowden. A settembre, in segno di protesta, la Rousseff ha scelto il G-20 di San Pietroburgo per congelare (e poi cancellare) la visita negli Stati Uniti che avrebbe dovuto svolgersi il 23 ottobre; il mese scorso, poi, aprendo la 68esima Assemblea generale dell'Onu, ha accusato gli Stati Uniti di violare i diritti umani e la legge internazionale con la loro attività di spionaggio che, tra l'altro, oltre al telefono, le ha messo sotto controllo anche la posta elettronica.

La reazione di Angela Merkel, più cauta all'inizio, quando ancora non sapeva di essere coinvolta personalmente, è stata durissima mercoledì, quando ha appreso che anche il suo cellulare era tra quelli di 35 leader mondiali intercettati dalla Nsa. Ha subito chiesto spiegazioni al presidente americano Barack Obama in un'accesa telefonata in cui ha definito «inaccettabile» l'operazione; quindi, insieme alla Francia, ha fatto del tema la questione centrale del Consiglio europeo di giovedì e venerdì, conclusosi con una dichiarazione in cui viene esplicitata la volontà di Parigi e Berlino di rivedere le relazioni con gli Stati Uniti in tema di intelligence. Questa settimana inoltre una delegazione di cui faranno parte i vertici dei servizi segreti tedeschi sarà a Washington per approfondire la questione.

Per Obama la questione si fa seria, considerando che Brasile e Germania sono due Paesi chiave nello scacchiere geopolitico americano: il primo realtà economica di peso tra i Brics e Paese chiave in un Sudamerica dove i nemici di Washington non mancano; la seconda potenza leader di quell'Europa con cui è in ballo, tra l'altro, un delicato e importante accordo economico di libero scambio. E certo al presidente non gioveranno i nuovi dettagli diffusi dalla stampa tedesca, secondo cui, nella telefonata di mercoledì con la Merkel, il presidente non avrebbe soltanto dichiarato che il cellulare del cancelliere «non è e non sarà intercettato in futuro», ma avrebbe detto di non sapere nulla delle intercettazioni passate e si sarebbe scusato. Mentre, secondo lo Spiegel, la Merkel era controllata già dal 2002 e la direttiva di intercettazione delle sue comunicazioni era ancora valida poco prima che Obama arrivasse in visita a Berlino nel giugno 2013. Lo Spiegel aggiunge inoltre un nuovo tassello del Datagate che coinvolge l'Italia: nel 2010 gli Stati Uniti possedevano circa 19 centri di spionaggio in Europa, comuni a Cia e Nsa, di cui uno a Roma.

Anche a Washington peraltro lo scandalo continua a far rumore: ieri migliaia di persone hanno sfilato con telefonini giganti nella capitale, per protestare contro gli abusi dell'intelligence. Parola d'ordine «Stop Watching Us», smettetela di controllarci.
A completare il quadro negativo per la Casa Bianca le bacchettate del New York Times, che ha giudicato incomplete le spiegazioni date dal presidente agli alleati, e le dichiarazioni dell'ex segretario di Stato Hillary Clinton, che sollecita una «discussione ampia» sulle misure di sorveglianza che chiarisca fin dove il governo si può spingere nelle misure anti-terrorismo. Insomma, si smarca anche Hillary. Un'altra donna.

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