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Questo articolo è stato pubblicato il 29 ottobre 2013 alle ore 07:08.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 10:33.

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Il passato è un passato remoto. I numeri del presente dimostrano che è la chimica, oggi in Italia, il settore manifatturiero più sicuro e salubre dove lavorare. Lo conferma la diciannovesima edizione del rapporto annuale Responsible Care, redatto dalle principali industrie del settore per documentare lo sforzo prodotto in termini ambientali e nel rapporto con la comunità di riferimento e presentato ieri a Milano nella sede di Federchimica.

Dal disastro ambientale di Seveso del 1976 (è in seguito a quell'incidente che le imprese del settore hanno iniziato a maturare la consapevolezza della necessità di adottare politiche di sostenibilità stringenti) ad oggi, i passi avanti sono stati numerosi e concreti. «Ormai siamo un modello da imitare – ha spiegato ieri il presidente di Federchimica Cesare Puccioni –, non possiamo più consentire di essere giudicati con lo sguardo a un passato remoto invece che al presente». Ora però, secondo i vertici di Federchimica, il settore ha bisogno di «un quadro normativo adeguato».

La chimica ha fatto la sua parte. È giunto il momento che anche «la politica faccia la sua – ha aggiunto Puccioni –, dandoci certezza, stabilità e un sistema paese competitivo». Da questo punto di vista, ha concluso il presidente «il sì bipartisan di qualche giorno fa della Camera dei Deputati alla promozione di una politica industriale per i poli chimici è un segnale incoraggiante, che speriamo di vedere presto tradotto in azioni concrete».

Nel 2012 l'industria chimica italiana (circa 3mila imprese per un fatturato di 53 miliardi di euro, il 6% del pil manifatturiero nazionale) ha registrato concreti progressi sia sul piano sociale che ambientale. Secondo l'ultima edizione del rapporto responsible care, la chimica si qualifica oggi come il settore manifatturiero più sicuro in Italia, insieme all'industria petrolifera, con un tasso di 10,6 infortuni per un milione di ore lavorate nell'industria chimica in generale, 8,3 se si considera il dato delle sole imprese aderenti al programma di promozione e monitoraggio di politiche di sviluppo sostenibile (il dato mediano del manifatturiero è 19,1). A questo si aggiunge il primato assoluto nel conteggio delle malattie professionali: solo 0,22 su un milione di ore, ovvero, una malattia professionale ogni quattro milioni e mezzo di ore di lavoro.

Sul piano ambientale, il rapporto segnala che dal 1990 a oggi l'industria chimica ha migliorato la propria efficienza energetica del 45%, e ridotto i consumi di energia del 36,7 per cento.
Rimangono consistenti inoltre gli investimenti sia in risorse umane che per finanziare per lo sviluppo sostenibile, con una spesa che nel 2012 ha raggiunto quota 712 milioni (pari al 2,3% del fatturato. In generale, una quota superiore al 20% degli investimenti delle aziende sono stati destinati l'anno scorso a sicurezza, salute e ambiente. Investimenti che – spiegano i curatori della ricerca – valgono anche in termini di ottimizzazione dei processi produttivi e miglioramento delle tecnologie, grazie alle quali le industrie chimiche hanno potuto ridurre le emissioni in aria del 95% e in acqua del 65% negli ultimi 20 anni.
L'auspicio di Federchimica, ora, è per la promozione di una politica industriale adeguata alle esigenze di un settore che si sta rinnovando. Ieri Raffaello Vignati, membro della commissione attività prottive della Camera dei Deputati, intervenuto al dibattito, ha ricordato come «il dato storico degli ultimi 10 anni in termini di investimenti e i risultati nel rispetto ambientale, ma anche sulla sicurezza del lavoro, dice che la chimica in Italia è forse il settore che ha compiuto maggiori progressi. Perciò – ha detto – dobbiamo considerare la chimica come un settore sostenibile, superando vecchi pregiudizi».

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