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Questo articolo è stato pubblicato il 30 ottobre 2013 alle ore 07:56.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 10:33.

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Diceva Niccolò Machiavelli che l'errore peggiore consiste nel ferire il proprio avversario senza ucciderlo, pur avendone l'opportunità. La ragione è intuibile: un avversario ferito ma sopravvissuto diventa assai più pericoloso nel suo desiderio di vendetta. S'intende che Alfano e gli altri "moderati" del centrodestra non vogliono nemmeno sentir parlare di Berlusconi come di un loro nemico.

Tanto meno accettano di definirsi come un gruppo di congiurati che ha tentato di pugnalare Cesare, riuscendo però solo a scalfirlo. Con il risultato che adesso, nella nuova cornice di Forza Italia, devono subirne il ritorno.
Sul piano ufficiale Berlusconi viene sempre e solo definito «il nostro leader». Ma nei giorni scorsi c'è stato un tentativo di voltare pagina e di confinare il «nostro leader» in un mausoleo ideale. L'operazione è riuscita a metà e oggi Berlusconi sta ottenendo quello che vuole: imporre se stesso e l'estenuante vicenda della decadenza da senatore al centro del dibattito.
Prepariamoci quindi ad alcune settimane di caos incomprensibile per un normale cittadino. Nulla di nuovo, si dirà, visto che da anni si parla quasi soltanto di vicissitudini giudiziarie e conseguenze politiche. Tuttavia la novità è che Berlusconi è tornato a stabilire un nesso immediato fra la sua decadenza da Palazzo Madama, che potrebbe essere votata in via definitiva fra meno di un mese, e la crisi del governo Letta. Proprio il nesso che era stato spezzato dal gruppo Alfano-Quagliariello-Lupi-Formigoni e altri. In fondo tutta l'operazione dei "moderati" è questa: evitare che la decadenza del capo, inevitabile perché figlia della sentenza del tribunale, produca la caduta del governo e riconsegni il paese ai suoi peggiori vizi politici. Esiste anche un manipolo di senatori (ventiquattro) che si dicono pronti a votare comunque per la sopravvivenza dell'esecutivo. Ora, di fronte alla controffensiva berlusconiana che assomiglia tanto alla battaglia delle Ardenne (l'ultimo tentativo tedesco di impedire l'invasione alleata della Germania), la domanda è una sola: reggerà il fronte dei "governativi", ossia i ventiquattro più i ministri riuniti da Alfano più tutti coloro che respingono un certo avventurismo che si respira nell'ultimo scontro parlamentare?

Dopo vent'anni di potere semi-monarchico non stupisce che sia difficile per molti concepire un centrodestra in cui non è più il leader storico a dominare la scena. D'altra parte le ultime ore sono servite ai suoi a raccogliere nuove munizioni per l'estrema battaglia. L'argomento sarebbe l'impossibilità di rendere retroattiva una «sanzione amministrativa», quale è la decadenza secondo Schifani, Nitto Palma e altri. Tesi ovviamente contestata dalla sinistra. E poi c'è la questione assai delicata del voto: segreto o palese?
Come si vede ci sono le premesse per assistere a una nuova ondata di conflitti logoranti. Ma il nodo di fondo è cosa faranno i "moderati" quando arriverà il momento cruciale. Ossia quando Berlusconi, al di là della sua resistenza, sarà messo fuori dal Parlamento da un voto che susciterà numerosi e anche seri interrogativi. A quel punto si vedrà se i filo-governativi dispongono di spina dorsale, ossia dello spessore politico indispensabile per affermare un'identità anche in alternativa al vecchio leader ferito ma tutt'altro che schiacciato.

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