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Questo articolo è stato pubblicato il 31 ottobre 2013 alle ore 08:05.
L'ultima modifica è del 31 ottobre 2013 alle ore 08:47.

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Al di là dell'ira furiosa fatta trapelare da chi è stato ricevuto a Palazzo Grazioli, Silvio Berlusconi la dichiarazione di guerra non l'ha ancora formalizzata.
Il «no» a far coincidere il voto sulla sua decadenza con la fine del governo delle larghe intese, ribaditogli martedì sera da Angelino Alfano, non viene sottovalutato dal Cavaliere.

E questo probabilmente spiega perché, nonostante per tutto il pomeriggio si siano rincorse voci di una imminente esternazione dell'ex premier, Berlusconi non abbia invece ancora rotto il silenzio. L'ex premier ha bisogno prima di fare i conti. E stavolta non può permettersi di sbagliare come avvenuto il 2 ottobre scorso, quando si è trovato di fronte all'ammutinamento di una parte dei senatori del Pdl guidati dal segretario del partito Angelino Alfano e sufficienti a garantire la maggioranza al governo.
Ma non si tratta solo di calcoli numerici, di quantificare il numero degli eventuali "disertori". Anche se riuscisse a mettere in crisi il governo non è affatto certo che la conseguenza sarebbe l'immediato scioglimento delle Camere. Il Capo dello Stato ha detto e ripetuto che con il Porcellum non si voterà. Sbaglia chi con superficialità ricorda che moniti altrettanto severi Giorgio Napolitano li aveva indirizzati già nell'anno precedente le scorse elezioni. Allora il voto fu una scelta obbligata visto che si era ormai alla scadenza non solo della legislatura ma anche del settennato del Capo dello Stato. Adesso invece ci troviamo nella situazione opposta ed è anche questa una ragione che rafforza quanti nel Pdl vogliono continuare a garantire la governabilità.
Ma c'è anche un altro aspetto tutt'altro che secondario. Chi sarebbe l'eventuale candidato premier di Fi? Da mesi ormai a giorni alterni viene rilanciata l'ipotesi di un passaggio di testimone del Cavaliere alla figlia Marina. Non sono state sufficienti le ripetute e sempre più circostanziate smentite della diretta interessata. Ma tanta insistenza conferma che non c'è neppure tra i principali sostenitori della fine delle larghe intese, tra i cosiddetti falchi, la benché minima idea su chi possa sostituire l'insostituibile, ovvero il Cavaliere. E il primo ad esserne consapevole e per questo ancor più frustrato è proprio Berlusconi, che si avvia alla fine della sua storia parlamentare senza intravedere una via d'uscita.
È probabile che a questo punto Berlusconi decida di sfruttare il voto palese, quale atto pubblico di rottura dell'alleanza con il Pd. Farà ricorso alla mozione degli affetti. Sfiderà coloro che sono pronti ad abbandonarlo guardandoli in faccia al momento del voto. I lealisti vogliono organizzare una grande manifestazione a suo sostegno in concomitanza con il voto. Ma poi, una volta imboccata questa strada, a Berlusconi non resterà altro che schierarsi da Palazzo Grazioli all'opposizione in attesa di cominciare a scontare la sua pena

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