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Questo articolo è stato pubblicato il 31 ottobre 2013 alle ore 22:14.
L'ultima modifica è del 01 novembre 2013 alle ore 20:41.

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(Ansa)(Ansa)

Un horror che diventa a tutti gli effetti realtà. Un affare da 600-700 milioni di lire al mese, che ha devastato terre nelle quali, visti i veleni sotterrati, si poteva immaginare «che nel giro di vent'anni morissero tutti». Parole che mettono i brividi quelle pronunciate nel 1997 dal pentito dei casalesi Carmine Schiavone davanti alla Commissione ecomafie, in una audizione i cui verbali sono stati desecretati oggi. La sentenza senza appello pronunciata dall'ex boss riguardava tanti centri del Casertano, «gli abitanti di paesi come Casapesenna, Casal di Principe, Castel Volturno e così via, avranno, forse, venti anni di vita». Una confessione che lascia senza parole.

Un sistema militare, con divise e palette dei carabinieri
Rifiuti radioattivi «dovrebbero trovarsi in un terreno sul quale oggi ci sono le bufale e su cui non cresce più erba», raccontava Schiavone. Fanghi nucleari, riferiva, arrivavano su camion provenienti dalla Germania. Nel business del traffico dei rifiuti, secondo il pentito, erano coinvolte diverse organizzazioni criminali - mafia, 'ndrangheta e Sacra Corona Unita - tanto da fare ipotizzare che in diverse zone di Sicilia, Calabria e Puglia, quelle cosche abbiano agito come il clan dei Casalesi. Ma i veleni non venivano nascosti solo in provincia di Caserta: rifiuti tossici, a suo dire, sono stati interrati lungo tutto il litorale Domitio e sversati anche nel lago di Lucrino, specchio d'acqua che si trova nell'area flegrea, in provincia di Napoli.

Il collaboratore di giustizia si soffermò sulle modalità di smaltimento. «Avevamo creato un sistema di tipo militare, con ragazzi incensurati muniti di regolare porto d'armi che giravano in macchina. Avevamo divise e palette dei carabinieri, della finanza e della polizia. Ognuno aveva un suo reparto prestabilito».

Boldrini: un atto che dovevamo ai cittadini
«Si tratta della prima volta che la presidenza della Camera - senza che questo sia richiesto dalla magistratura - decide di rendere pubblico un documento formato da Commissioni di inchiesta che in passato lo avevano classificato come segreto», sottolinea la presidente della Camera, Laura Boldrini. «Lo dovevamo in primo luogo ai cittadini delle zone della Campania devastate da una catastrofe ambientale cosciente e premeditata: cittadini che oggi hanno tutto il diritto di conoscere quali crimini siano stati commessi ai loro danni per poter esigere la riparazione possibile».

Il racconto parte dal 1988
Sono 63 le pagine del verbale dell'audizione di Carmine Schiavone, cugino del boss dei casalesi, Francesco, alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo rifiuti, a raccontare l'avvelenamento di uin territorio. È il 7 ottobre 1997, un martedì, e Schiavone parla al presidente di quella Commissione nella tredicesima legistaura, Massimo Scalia, al deputato Gianfranco Saraca, e ai senatori Giovanni Lubrano di Ricco, Roberto Napoli e Giuseppe Specchia. Il suo racconto prende le mosse dal 1988, quando si trovava ad Otranto e «l'avvocato Tino Borsa e Pasquale Pirolo mi fecero uan proposta relativa allo scarico di fusti tossici» durante i lavori di costruzione di una superstrada nel Casertano.

Schiavone ha già consegnato alla Commissione la copia di alcuni documenti, a disposizione della Direzione Nazionale Antimafia che riguardano non solo amministrazioni della Campania, ma anche della provincia di Massa Carrara, documentazione nella quale c'è l'elenco delle società e dei camion che trasportavano i rifiuti.

Della proposta di interrare fusti tossici, ne parla con il cugino boss e con un altro esponente di spicco dei Casalesi, che erano nell'affare, racconta, «con dei signori di Arezzo, Firenze, Milano e Genova». I rifiuti tossici e nocivi venivano occultati attraverso imprese del clan in scavi abusivi e la gestione di questo business riusciva a garantire al clan «un compenso di 7-10 milioni (di lire, ndr) l'ettaro».

«Nel Casertano i sindaci eravamo noi»
«In tutti e 106 comuni della provincia di Caserta noi facevamo i sindaci, di qualunque colore fossero. C'é la prova. Io ad esempio avevo la zona di Villa Literno e sono stato io a far eleggere il sindaco. Prima era socialista e noi eravamo democristiani. A Frignano avevamo i comunisti. A noi non importava il colore ma solo i soldi, perché cerano uscite di due miliardi e mezzo al mese». Si legge ancora in uno stralcio del verbale del pentito dei Casalesi Carmine Schiavone, desecretato dopo sedici anni.

L'ex boss racconta del periodo dal 1995 al 1997. «A Villa Literno, che era di mia competenza - spiega ancora - ho fatto io stesso l'amministratore comunale. Abbiamo candidato determinate persone al di fuori di ogni sospetto, persone con parvenze pulite e abbiamo fatto eleggere dieci consiglieri, mentre prima ne prendevamo tre o quattro. Un seggio lo hanno preso i repubblicani, otto i socialisti e uno i comunisti. Io li ho riuniti tutti e ho detto loro 'Tu fai il sindaco, tu l'assessore' e via di questo passo. Mi dissero che mancava un consigliere per avere la maggioranza. All'epoca c'era Zorro che come boss dipendeva da me e gli ho detto: 'Andate a prendere Enrico Fabozzo e lo facciamo diventare democristiano'. Infatti lo facemmo assessore al Personale. La sera era comunista e la mattina dopo democristiano».

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