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Questo articolo è stato pubblicato il 01 novembre 2013 alle ore 07:14.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 10:35.

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I crediti deteriorati (inclusi quelli alle famiglie) erano nel 2012 pari a 287 miliardi, di cui 153 sono sofferenze, 90 incagli e 21 esposizioni ristrutturate. Questa montagna di crediti deteriorati pesa sui bilanci delle banche ed è uno degli ostacoli alla ripresa del credito alle imprese. È necessario mettere in atto gli strumenti che facilitino la gestione dei crediti deteriorati da parte delle banche. Ci soffermeremo su due strumenti sinora trascurati nel dibattito.
eLa ristrutturazione volontaria debiti quando l'azienda è in crisi di liquidità ma è sostanzialmente sana. La finalità di accordi di ristrutturazione è rendere possibile superare le difficoltà temporanee e onorare il debito a condizioni nuove: questo può evitare alle banche di registrare ulteriori perdite dovute al fallimento e di portare in bonis, dopo un eventuale "periodo di prova" di due anni, il credito deteriorato. Possono essere interessati a ristrutturazioni un buona parte dei 90 miliardi di incagli.
rIl recupero dei crediti in sofferenza attraverso le vie giudiziali. Tale strumento riguarderebbe parte dei 153 miliardi di sofferenze.
La gestione dei crediti deteriorati attraverso ristrutturazione dei debiti e recupero dei crediti è complicata dal multiaffidamento: il debito bancario delle imprese è frazionato tra più banche. Il coordinamento di queste banche è necessario per raggiungere accordi sulla ristrutturazione del debito o per rendere più efficace il recupero del credito. Tale coordinamento è tanto più difficile quanto maggiore è il numero di banche coinvolte. Oltre al nodo del free riding, le banche possono avere interessi confliggenti: ad esempio, la banca di riferimento può essere più propensa a un accordo, nella speranza di mantenere un cliente consolidato, rispetto a banche la cui relazione con l'impresa è più recente; oppure l'esposizione di alcune banche può essere coperta da garanzie/assicurazioni sul credito o da credit default swap, quella di altre no; oppure possono esservi asimmetrie informative che portano a concessioni condizionate al comportamento di altre banche; oppure creditori minori possono seguire una strategia di "apatia razionale". In tali situazioni, è utile che i creditori siano guidati e coordinati da una parte terza.
Ristrutturazione dei crediti incagliati
Gli accordi di ristrutturazione includono vendita di asset, rimodulazione dei pagamenti (ad esempio, rinvio di alcuni rimborsi, allungamento della maturità del debito etc), dilazionamento (roll-over) di alcuni crediti, modifiche ai tassi di interesse, cancellazione di penalità dovute, modifica delle clausole vincolanti, debt/equity swaps, nuovi crediti, nuove garanzie sul debito ristrutturato, cancellazione di interessi maturati o di parte del debito.
Tali accordi dovrebbero escludere la copertura di comportamenti fraudolenti e potrebbero includere clausole di cambiamenti nel management (ad esempio, il direttore finanziario). È opportuno che uno o più advisor indipendenti siano coinvolti nella valutazione della sostenibilità del nuovo business plan e del debito ristrutturato (tale intervento è previsto nelle nuove procedure di ristrutturazione).
La Banca d'Italia potrebbe agire da facilitatore degli accordi, elaborarando, per esempio, principi e linee guida non obbligatorie (il London Approach). Il Mef, con Abi e Confindustria, potrebbe lanciare una campagna di informazione e aprire un tavolo su possibili modifiche fiscali, alla legge fallimentare e al fondo centrale di garanzia per rendere più agevole e conveniente la ristrutturazione dei debiti. L'Abi potrebbe promuovere la costituzione di un fondo che fornisca debito subordinato o nuovo capitale alle imprese che ristrutturano.
Gestione delle sofferenze.
I costi delle procedure di liquidazione sono elevati in Italia, 124ma nella classifica della Banca Mondiale. La crisi ha aggravato la situazione rendendo difficoltosa la vendita di asset, anche di pregio.
Le banche potrebbero costituire una società alla quale trasferire la gestione di posizioni a sofferenza con la cessione dei crediti o contratti di servizio. Tale società gestirebbe, in una logica di segregazione, i portafogli conferiti dalle banche, le quali ne diverrebbero socie in misura percentuale ai crediti apportati attraverso una parziale capitalizzazione dei crediti. La società non dovrebbe essere unica e potrebbe essere immaginata in una struttura consortile su base territoriale, soprattutto per le piccole-medie banche. Tale società permetterebbe di raggiungere tre obiettivi:
econcentrazione della gestione delle posizioni comuni a più banche, con benefici, nei contatti con controparti e con tribunali. Verrebbero superati i nodi di coordinamento, che pregiudicano, o dilatano nel tempo, la soluzione bonaria di numerosissime situazioni.
rsemplificazione dei processi deliberativi: alla società dovrebbero essere assegnati poteri di straordinaria amministrazione con limiti determinati (prezzo di cessione/valore netto del credito);
tcollocazione frazionata di pacchetti a terzi e cartolarizzazione: la disponibilità in capo alla società della totalità (o di una quota) del debito di un'impresa potrebbe facilitare, se conveniente, dismissione e cartolarizzazione.
Queste operazione potrebbero rallentare il processo di generazione di nuove sofferenze e ridurne lo stock esistente, alleggerendo così i bilanci della banche e liberando risorse per la ripresa del credito alle imprese.
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