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Questo articolo è stato pubblicato il 06 novembre 2013 alle ore 07:55.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 10:39.

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La parabola di Pier Luigi Bersani alla guida del Pd, nei tre mesi compresi fra dicembre 2012 e aprile 2013, resterà sempre emblematica non solo e non tanto degli errori dell'uomo, quanto dell'involuzione persino paradossale di un sistema politico ripiegato su se stesso fino alla consunzione. È una storia insieme straordinaria e malinconica. O se si vuole è una fotografia amara e a suo modo perfetta della condizione italiana. Stefano Di Traglia e Chiara Geloni, che di Bersani furono fra i più stretti collaboratori in via del Nazareno, propongono oggi una ricostruzione di quel periodo avvelenato.

Come recita il titolo, furono davvero Giorni bugiardi perché in tanti, forse troppi, giocarono con carte truccate. Ma furono bugiardi, a giudizio di chi ha vissuto da osservatore quel periodo, anche per una grave sottovalutazione della realtà. Il Pd bersaniano ha parlato alla società italiana come «doveva essere», in base a una certa analisi e a uno schema ben definito; non si è rivolto a questa società per come essa era concretamente. Quasi non si sono considerate le trasformazioni culturali, sociali e di costume intervenute dopo il ventennio berlusconiano.
Ecco allora che la serietà e la sobrietà, cifre positive del messaggio elettorale di Bersani, sono apparse una specie di "heri dicebamus", un riprendere il discorso politico dal punto in cui era stato interrotto anni prima: al tempo dell'invasione degli Hyksos, avrebbe detto Benedetto Croce. È un errore, questo? Certo, lo è. Ma è anche vero che un uomo non può tradire se stesso e le proprie radici. Bersani si è confermato persona seria e affidabile, ma è stato travolto da un mondo che aveva perso quella razionalità e persino quella "innocenza" che lui pretendeva di restituirgli.

Poi c'è la colpa collettiva della sinistra. Non essere riusciti o non aver voluto per anni riformare il sistema politico. Aver perso in buona sostanza, nel corso dei quasi due decenni berlusconiani, l'occasione di rinnovarsi nel profondo, mettendosi in grado di assumere le proprie responsabilità al momento opportuno. Il momento è arrivato, ma la sinistra non era pronta. E questo non è dipeso di sicuro dal solo Bersani. Sta di fatto che si è passati con la rapidità del fulmine dai giorni luminosi delle primarie, quando il segretario sconfiggeva lo sfidante Renzi con argomenti eccellenti e ben argomentati, all'incertezza del risultato elettorale in chiaroscuro di febbraio, fino al collasso di aprile. Nell'incapacità di risolvere il nodo del Quirinale il Pd bersaniano si è autoaffondato e per fortuna Giorgio Napolitano ha accettato il secondo mandato un attimo prima del disastro finale. Di Traglia e la Geloni ricostruiscono con buon ritmo quelle tremende giornate in cui si inseguiva il sogno del "governo del cambiamento" e non si riusciva a gestire il populismo dei Cinque Stelle. Fino al corto circuito in cui si consumano i nomi di Franco Marini e Romano Prodi. Fra odii, rancori e malumori in cui si è dimostrata l'immaturità complessiva del centrosinistra, come ben coglie Gianni Riotta nell'ampio e convincente saggio introduttivo.

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