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Questo articolo è stato pubblicato il 07 novembre 2013 alle ore 06:55.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 10:40.

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Prima avevamo paura dello Stato di Gheddafi, adesso temiamo che lo Stato libico non esista più, diceva qualche tempo fa un giovane medico di Tripoli. La notizia che i berberi bloccano il gasdotto dell'Eni verso l'Italia rientra nel quadro assai caotico della Libia due anni dopo la fine drammatica del dittatore. Chiunque oggi in Libia abbia qualche cosa da rivendicare occupa manu militari i terminali di gas e petrolio. In Cirenaica un giovane rivoluzionario con migliaia di uomini armati spadroneggia sui pozzi di oro nero e sostiene il nuovo governo autoproclamato di Bengasi.

Tripoli non dispone né di una polizia né di un esercito e le milizie impongono la loro agenda: al punto che in ottobre è stato sequestrato per poche ore anche il premier Zeidan.
Ma che ne è stato di questa e delle altre primavere arabe? Il risveglio arabo, cominciato il 17 dicembre 2010 con le fiamme che divoravano il giovane tunisino Mohammed Bouazizi, ha determinato il cambio di regimi semi-falliti ma ha messo in discussione anche l'esistenza stessa di diversi stati della regione. Neppure il principio di legittimazione democratica con le elezioni ha riempito la voragine lasciata da questi fallimenti. Come dimostrano i sanguinosi eventi egiziani, l'instabilità cronica della Tunisia e la frammentazione anarchica della Libia, manca completamente un progetto politico condiviso da tutte le componenti etniche, tribali, secolari e religiose. E così la sponda Sud del Mediterraneo, con un corteo di stati sgretolati, sta evaporando ancora più rapidamente del suo gas.

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