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Questo articolo è stato pubblicato il 12 novembre 2013 alle ore 07:20.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 10:41.

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Il cinema italiano, e l'audiovisivo più in generale, cerca nuovi strumenti e nuovi partner per uscire da una crisi da tempo strutturale e sfruttare le opportunità offerte dal digitale e dalla moltiplicazione delle piattaforme distributive. Il Festival del cinema a Roma mostra segnali di vitalità e di ripresa. In quest'ambito, BNL Paribas ha promosso un convegno, al Maxxi, istituzione culturale che collabora a sua volta con il Festival romano, per riflettere su "Cinema, lavoro e responsabilità" e celebrare cent'anni di attività, di cui ottanta a sostegno del cinema nazionale. «La cultura non è solo un motore di crescita sociale, ma di crescita economica» sostiene Fabio Gallia, amministratore delegato dell'istituto di credito.

Una banca ha un preciso punto di vista sul settore. «Qualità e quantità. Autonomia creativa e successo di mercato: non sono concetti antagonisti ma complementari». Il presidente di Bnl-Paribas Luigi Abete, illustrando lo storico intervento dell'istituto di credito a fianco del cinema (circa 5mila pellicole finanziate e 40 film nei quali la Bnl ha investito attraverso il credito d'imposta per poco meno di 15 milioni) ne spiega la filosofia. «Abbiamo una quota del 25% sull'investimento nel cinema italiano ma finanziamo il 51% dei film: diamo la metà degli altri per realizzare più opere», puntualizza Abete.
«Siamo una banca: dobbiamo selezionare i buoni progetti per avere un ritorno dell'investimento - aggiunge Gallia - ma ci assumiamo le nostre responsabilità. Tutti devono farlo. Allochiamo una somma (circa 2,5 milioni di euro) per i progetti più rischiosi. Il Paese deve darsi un progetto a lungo termine per la cultura e il cinema. Come ha fatto la Spagna nel turismo». Gli incentivi fiscali sono stati resi permanenti, ed estesi alla fiction, dal decreto sul "Valore Cultura", convertito in legge dal Parlamento: una boccata di ossigeno per un settore che ha subito negli anni una pesante contrazione del pubblico in sala, a causa di vari fattori, non ultima la possibilità di "scaricare" film dalla Rete, legalmente o meno, e una riduzione dell'impegno da parte delle tv generaliste. A fine anno, inoltre, i film americani saranno distribuiti solo in digitale. La pellicola sta per scomparire ma solo il 61% delle sale italiane sono digitalizzate.

La contrazione del Pil (nove punti in sei anni) e del reddito delle famiglie non potevano non influenzare il settore: nel biennio 2011-2012 le frequenze sono calate del 19%. Secondo la ricerca "Sala e salotto" dell'Anica, è calata la media nell'acquisto dei biglietti anche se il pubblico è cresciuto: nel 2010 27 milioni di italiani acquistavano 4,5 biglietti, in media; nel 2012 oltre 28 milioni ne hanno acquistati 3,6 ciascuno. Così, tra il 2010 e il 2012 si sono persi circa 20 milioni di biglietti. Nel 2013 la Bnl stima un rallentamento in tale flessione.
Né conforta la crescita dei film prodotti (166 nel 2012 rispetto ai 155 del 2011): una parte di questi titoli non sono destinati al circuito delle sale. Sono poco più che produzioni amatoriali, spesso circolanti sul web, dove peraltro si stanno affermando prodotti come le web series, spesso autofinanziate ma in grado di raggiungere pubblici che poco frequentano sale e tv.

Per resistere e riprendere a crescere il settore deve cambiare. Non si tratta di una realtà marginale: solo la produzione è composta da circa 7mila imprese con trentamila addetti.
Registi e attori, di fronte alla crisi, devono assumersi nuove responsabilità: trovare finanziatori, magari all'estero, come ha fatto Maria Sole Tognazzi per il suo Viaggio da sola. O impegnarsi nella produzione di un'opera prima, come ha fatto Pierfrancesco Favino, che giustamente invita «a non guardare il pubblico dall'alto delle terrazze». Le opportunità non mancano, in ogni caso. Nascono nuovi investitori: Pasta Garofalo finanzia il "corto" di venti minuti diretto da Terry Gilliam dedicato a Napoli, con Cristiana Capotondi protagonista. L'importante, come ricorda il direttore generale di Warner Bros Italia, Nicola Maccanico è «che il cinema italiano diventi industria e cerchi sempre il pubblico più ampio. Senza pubblico non c'è cultura».

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