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Questo articolo è stato pubblicato il 13 novembre 2013 alle ore 07:55.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 10:42.

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Dentro le stanze della Curia romana si respira un'aria rarefatta. Non solo perché Papa Francesco ha spostato il baricentro dell'attività quotidiana di governo dal Palazzo Apostolico alla Domus Santa Marta: la ragione principale è l'attesa. Quella dell'arrivo alla Terza Loggia del nuovo segretario di Stato, l'arcivescovo Pietro Parolin, in carica ufficialmente dal 15 ottobre ma finora assente a seguito dell'intervento chirurgico d'urgenza. La convalescenza nella sua terra veneta è quasi finita e le notizie che filtrano sono rassicuranti.

Tuttavia non sarà presente domani al Quirinale all'incontro tra Bergoglio e Giorgio Napolitano, il suo arrivo è previsto sabato. Quindi, già la prossima settimana, prenderà possesso del grande ufficio (è ritenuto improbabile che anche lui si stabilisca nella residenza papale, altrimenti c'è il rischio del progressivo svuotamento del palazzo) che tra gli altri è stato dei cardinali Tarcisio Bertone, Angelo Sodano e Agostino Casaroli, quest'ultimo considerato il suo maestro di diplomazia. Già perché con Parolin tornerà alla guida del "governo" pontificio un diplomatico a ventiquattro carati, cresciuto in contesti internazionali difficili e forgiato a trattative tanto segrete quanto complesse. Ma conoscitore anche della macchina della Curia, dove ha passato molti anni a cavallo dei due pontificati precedenti.

Cosa troverà sul tavolo ad attenderlo? Papa Francesco lo conosce bene e a lui si affiderà per portare avanti i molti cantieri, sia interni che diplomatici, ma anche pastorali e dottrinali, che in otto mesi sono stati aperti dallo stesso Ponterice. Un processo complesso che va ricondotto ad unità e che plasmerà il volto della Chiesa di Bergoglio.
Prima di tutto le riforme. Il gruppo di otto cardinali, nominato dal Papa per consigliarlo su questo terreno, ha tracciato un primo disegno su come muterà la forma di governo, con il cambio proprio della segreteria di Stato, che non sarà più una presidenza del consiglio così come pensata da Paolo VI e confermata nel 1988 nella Pastor Bonus di Giovanni Paolo II. Diventerà una "segreteria papale", come ha detto il portavoce padre Federico Lombardi. Di certo, non sarà più il collo di bottiglia dove tutto passava (e spesso si bloccava). Inoltre, ci sarà maggiore dedizione ai dossier internazionali.

Accanto a questo processo complessivo, stanno andando avanti quello della rivisitazione delle finanze vaticane, su cui lavora una commissione di laici, e quello specifico di cambio dello Ior. Allo studio c'è anche l'ipotesi che si arrivi a una fusione tra l'Apsa - che gestisce il patrimonio immobiliare e un ricco portafoglio di investimenti finanziari - e la banca vaticana. Di certo c'è che poche settimane fa il colosso Promontory Group ha iniziato ad analizzare i conti dell'Apsa dopo che da maggio lo sta facendo allo Ior, lavoro che sta producendo la chiusura di molti conti detenuti al Torrione Niccolò V. Inoltre, è sul tavolo anche l'idea di una tesoreria unica centralizzata, che possa gestire i flussi finanziari e monitorare eventuali scostamenti. La questione di un cambio di passo nelle finanze è cruciale per la missione di Francesco di una Chiesa povera e inclusiva. Cambiamenti verranno messi in campo anche per altri dicasteri: forse si agirà verso accorpamenti, specie sul fronte dei pontifici consigli.

Su questi dossier Parolin inizierà a lavorare subito, visto che il tempo stringe e già a inizio dicembre ci sarà una nuova riunione del G-8 cardinalizio: un ruolo importante in questo campo è stato già stato affidato dal Papa al giovane monsignore americano Peter Brian Wells, assessore agli affari interni.
In parallelo saranno riattivati i principali dossier internazionali, dei quali il segretario di Stato - che con ogni probabilità sarà creato cardinale il prossimo 22 febbraio - ha una diretta conoscenza. Primo tra tutti, c'è quello relativo all'intesa tra Santa Sede e Israele sui temi relativi al trattamento fiscale dei beni della chiesa in Israele, la giurisdizione sui luoghi santi e l'intesa sull'uso del Cenacolo. L'accordo potrebbe essere siglato a breve (c'è chi parla già di fine anno, ma potrebbe slittare di due-tre mesi), di certo prima del viaggio di Bergoglio in Terra Santa, che avverrà non prima di aprile-maggio.

Al di là delle questioni diplomatiche - in campo ci sono il sottosegretario Antoine Camilleri, i nunzi Lazzarotto e Franco, i francescani della Custodia guidata da padre Pizzaballa e un pool di diplomatici israeliani, tra cui l'ambasciatore presso la Santa Sede, Zion Evrony - è di tutta evidenza la straordinaria attenzione di Papa Francesco per il mondo ebraico, che si manifesta con udienze a rabbini e rappresentanti delle comunità nel mondo, a partire da quella italiana.
Ma lo sguardo a Oriente del papa argentino va oltre: prima di tutti a Russia e Cina, e anche al Vietnam. Il 25 novembre riceverà Vladimir Putin, e questo spiana la strada per un rapporto più profondo con gli ortodossi, uno dei punti irrisolti del dialogo ecumenico. Mosca guarda al Vaticano con crescente interesse dopo l'intervento di Bergoglio contro la guerra in Siria, che al contrario qualche preoccupazione l'ha causata alla Casa Bianca di Barack Obama, il quale già in patria è abbastanza attaccato dai battaglieri vescovi (ieri è stato eletto il presidente della conferenza episcopale, il moderato Joseph Kurtz, che succede al conservatore Timothy Dolan).

Eppoi la Cina. Parolin, negli anni in cui era sottosegretario agli esteri, fu il protagonista di un serrato negoziato segreto con Pechino, tanto che un'intesa - anche se non un vero riconoscimento diplomatico - era molto vicina. Poi fu sostituito e nominato nunzio in Venezuela, e il dialogo poco dopo si arenò. Anzi, regredì decisamente, generando nuovi fenomeni di discriminazione e persecuzione della minoranza cattolica, una decina di milioni di fedeli: un'entità non in grado impensierire il regime ma di alta visibilità internazionale. L'elezione di Bergoglio fu salutata dalla Pechino di Xi Jinping con formale cortesia, ma ribadendo che Roma non deve interferire negli affari interni cinesi. In effetti qualcosa si è mosso. Due alti funzionari "anonimi" rilasciarono dichiarazioni di maggiore apertura e in seguito arrivò una lettera di Liu Haixin, direttore generale degli Esteri, uno dei funzionari che anni addietro aveva partecipato alle trattative con Parolin.

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