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Questo articolo è stato pubblicato il 18 novembre 2013 alle ore 08:15.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 10:45.

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«E pur si muove», dobbiamo ripetere con il grande Galileo, annotando scrupolosamente ogni variazione nel sistema di interessi e traffici che gravita intorno alla vecchia San Marino. E allora è accaduto che venerdì 1° novembre, il Gup di Forlì, Alessandro Trinci, abbia accolto la richiesta della Provincia di Rimini di costituirsi parte civile nel processo "Varano", che vede 29 persone indagate per reati finanziari e fiscali che vanno dall'associazione per delinquere, al riciclaggio, all'ostacolo alle autorità di Vigilanza.

È la prima volta che un ente pubblico decide di intervenire - e viene ammesso a farlo - in un processo contro artigiani, commercianti, imprenditori accusati di aver evaso le tasse, assumendo che la loro azione nuoce al loro territorio.
L'idea che sta dietro alla scelta dell'amministrazione riminese (e al "sì" del giudice), dunque, è che esista un legame diretto tra l'evasione fiscale e l'affanno provocato all'intera popolazione che lì risiede, dalla sistematica sottrazione di risorse. Lo va dicendo e ripetendo da tempo il presidente riminese, Stefano Vitali (Pd): «Ormai l'evasione fiscale da noi è a livelli insostenibili. E non ne faccio soltanto una questione etica: qui scarseggiano le risorse per scuole e strade; senza dubbio mancano anche i soldi che, invece di finire alle imposte, vengono portati di nascosto all'estero». Cioè a 12 comodi chilometri a ovest della Riviera.

Anche il ragionamento giuridico su cui si basa la richiesta di costituzione di parte civile è semplice e muove dall'obbligo che «questa amministrazione ha di porre in campo tutte le azioni necessarie a salvaguardare gli interessi della comunità, a concorrere per realizzarne lo sviluppo garantendo la pari opportunità sociale, economica e civile tra tutte le persone»; dato che nel processo "Varano" ci sono tanti riminesi rinviati a giudizio («accusati di irregolarità tributarie quantitativamente e numericamente tra le più elevate del territorio nazionale») e dato che nelle carte si citano «reati presupposto del riciclaggio», ecco che l'ambito diventa quello del «reato patrimoniale e contro l'economia, che offende interessi patrimoniali e di corretta evoluzione economica delle comunità insediate presso un dato territorio».
La Procura della Repubblica ha trovato fondate e condivisibili le argomentazioni firmate all'unanimità dalla Giunta provinciale riminese, le ha rafforzate con il suo parere positivo, fino a che il giudice ha detto sì, creando un ottimo precedente per future, analoghe, vicende.

Buone notizie, quindi, anche se non si può non notare che i 39 chilometri di frontiere del piccolo (ex?) paradiso fiscale di casa nostra non toccano solo la provincia di Rimini, ma anche quella di Pesaro. E come da tre anni, ormai, la Procura di Forlì abbia inviato per competenza elenchi di centinaia di presunti evasori agli investigatori e ai Pm di numerose altre province italiane, dunque a centinaia di Comuni, spogliati di risorse proprio come la Provincia di Rimini. Forse anche le altre amministrazioni confinanti - ma anche no - con il Titano, dovrebbero cominciare a sentirsi molto offese da quei loro contribuenti infedeli o sconosciuti al Fisco italiano, ma ben noti agli sportelli di banche e finanziarie di Stati poco affidabili.
ext.lmancini@ilsole24ore.com

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