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Questo articolo è stato pubblicato il 22 novembre 2013 alle ore 07:55.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 10:48.

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È la più grande azienda di trasporto pubblico in Italia, ma a livello contabile è un pozzo senza fondo, una sorta di buco nero che inghiotte e consuma risorse milionarie. Anche quest'anno l'Atac di Roma chiuderà in perdita. Si stima per almeno 200 milioni. Un caso? Tutt'altro, dato che negli ultimi 10 anni non c'è stato mai un bilancio in utile. Se si sommano i 200 milioni di buco di quest'anno alle perdite di 2011 e 2012 siamo a mezzo miliardo di rosso. In tre anni. Ma come dimenticare la maxi-perdita del 2010 da 319 milioni e quella del 2009 da 91? E così via fin dal 2003.

Un decennio che è costato quasi 1,6 miliardi di perdite cumulate. Una cifra mostruosa, più delle perdite da 1,2 miliardi della disastrata Alitalia. Il costo è già stato pagato una volta dalla collettività. Nel 2010 Atac si è mangiata tutto il patrimonio e due anni fa è stata ricapitalizzata per un miliardo. Altri due anni come il 2013 e Atac sarà di nuovo senza capitale.
Vista così, lo scandalo della truffa dei biglietti falsi che sta agitando la città e prima ancora la Parentopoli delle assunzioni facili, appaiono solo la punta dell'iceberg di un sistema malato in profondità. Da Atac sono passate giunte di centrosinistra e centrodestra e una decina di amministratori delegati succedutesi senza che nulla cambiasse. Anzi. La situazione è andata peggiorando.

Basta sfogliare le relazioni dei collegi sindacali in questi anni. Già da anni i controllori dei bilanci mettevano in guardia: ricavi troppo bassi e costi troppo elevati. Impossibile in queste condizioni chiudere senza perdite. Già i ricavi. La truffa dei biglietti clonati ha distratto risorse ma il nodo gordiano è più profondo. Il nuovo assessore alla Mobilità, Guido Improta, denuncia senza mezzi termini come l'evasione tariffaria sia del 30-40%. La prova? Atac ha aumentato il prezzo del biglietto a 1,5 euro poco più di un anno e mezzo fa. I ricavi dalla vendita dei ticket avrebbero dovuto salire a parità di traffico del 50%. Non è successo nulla. Anzi i ricavi da biglietti valgono solo il 30% del miliardo circa di fatturato. Mezzo miliardo viene dal contributo pubblico del contratto di servizio con Comune e Regione. È vero che quei soldi spesso rimangono sulla carta come crediti perché la Regione (soprattutto) tarda a versare, ma è sempre una poderosa stampella pubblica. Nessuna azienda di trasporti in Italia riceve mezzo miliardo l'anno di sussidi pubblici.

E nonostante ciò si sono cumulate perdite. Si poteva fare di più? Certo. Ma se su un organico di 12mila dipendenti (che costano 550 milioni l'anno) fai fare il controllore a poco più di 70 persone significa che a nessuno degli amministratori è mai interessato contrastare l'evasione tariffaria. Oltre mille dipendenti stanno alla scrivania e uno degli ultimi amministratori delegati di Atac ha detto che il 30% sono di troppo. Ma a nessuno è venuto in mente di potenziare gli organici per il controllo dei biglietti. Del resto gli amministratori, con rarissime eccezioni, hanno più pensato a loro stessi che all'azienda. Basti pensare a uno degli amministratori delegati degli anni passati, Bertucci che, non contento della retribuzione (oltre 300mila euro) da ad, si fece approvare dal cda nel 2010 un contratto di consulenza in materia giuslavoristica da 219mila euro. Dovette intervenire il collegio sindacale a stoppare la maxi-consulenza. O a Giocchino Gabbuti, passato da ad di Atac ad ad di Atac patrimonio che nel 2013 oltre al fisso di 350mila euro si è fatto riconoscere un premio da 245mila euro. Premio per cosa? Per aver guidato per anni il malato cronico di Atac senza successo?

Così funziona una municipalizzata. Vertici strapagati (solo ora con la nuova Giunta è stato messo un tetto da 200mila euro alle retribuzioni dei massimi dirigenti) e incapaci di affrontare le difficoltà in cui versa strutturalmente l'azienda romana; personale in eccesso e mal distribuito e continui casi di malagestio. Più volte i collegi sindacali sono intervenuti nel tentare di mettere un freno a ruberie varie. Come quella del 2011 sulla gara per i servizi di pulizia: un appalto da 95 milioni gonfiato di oltre il 30% rispetto ai valori sul mercato. O la denuncia sull'acquisto di mille dischi freni (7 milioni di euro) che in realtà costavano meno di 2 milioni. Per non parlare (siamo nel 2009) delle consulenze varie per oltre 20 milioni di euro a fronte di risorse interne per 12mila unità che costano di loro oltre 500 milioni l'anno. E ancora. Gli effetti di un derivato capestro (Us Cross border lease) stipulato nel 2003, definito "temerario" dai revisori dei conti e chiuso di recente con una perdita per Atac di 28 milioni.

Sono solo alcuni dei casi palesi di malagestio in un poderoso cahier de doléances che contrassegna in tutti questi anni i verbali dei collegi sindacali. La politica (bipartisan prima con Veltroni poi con Alemanno) non ha fatto nulla per arginare la deriva di inefficienza e cattiva gestione di Atac, così come nessuno della decina di amministratori delegati e presidenti succedutesi in due lustri ha mai inciso sulla struttura di un'azienda che se fosse sul mercato sarebbe fallita molti anni fa.
Ora Atac ha visto rinnovare l'affidamento al 2019 del servizio pubblico. Se non si cambia rotta al più presto il costo per la collettività sarà esoso. Tra contributi pubblici e perdite Atac è costata ai romani 6,4 miliardi negli ultimi 10 anni. Si spera che il copione non si ripeta di nuovo.

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