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Questo articolo è stato pubblicato il 26 novembre 2013 alle ore 07:30.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 10:49.

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Centodiciotto miliardi di sterline, penny più penny meno. Una spending review con numeri da capogiro, esercizio mai tentato in queste dimensioni dalla seconda guerra mondiale in poi. E probabilmente anche prima. Limitandosi a leggere i numeri David Cameron batte Margaret Thatcher, schianta Tony Blair e annichilisce il ricordo di quanto il Regno Unito fece negli anni Settanta quando ad ordinare una correzione che vale metà di quella in corso oggi fu il Fondo monetario. Un aiutino non richiesto per consentire ora di stringere la cinghia oltre l'ultimo buco lo ha dato, è ovvio, una crisi che ha portato Londra a un deficit a due cifre.


«Per capire l'eccezionalità - spiega Gemma Tetlow dell'Institute of fiscal studies, celebrato think tank londinese - le faccio un esempio significativo: la polizia. Mai toccata, neppure in epoca thatcheriana quando, anzi, gli stanziamenti aumentarono del 4% all'anno. Il ministero dell'Interno ha ora avuto il budget ridotto del 25 per cento (cumulando i tagli attuati e programmati fra il 2010 e il 2015 n.d.r)». Il che ha comportato 34mila posti di lavoro in meno fra agenti e personale d'ufficio (gli effettivi sono ora 260mila) in un ripensamento globale che ha rivoluzionato anche le logiche di reclutamento. Bagatelle per un massacro a colpi di forbice. Entro il prossimo marzo, infatti, sarà stato completato il 44% dei 118 miliardi di risparmi che dovranno uscire dalla revisione di spesa entro il 2018 e tanto è bastato per costringere alleati ed oppositori ad ammettere che il piano Cameron sta funzionando. Sforzo ancor più titanico se si considera che i 118 miliardi rappresentano l'84% della correzione da 141 miliardi di sterline messa in campo dall'Esecutivo - a tappe successive e nell'arco degli anni fiscali dal 2010-2011 fino al 2017-2018 - subito dopo la vittoria elettorale. E questo implica che per correggere il bilancio di 141 miliardi, ovvero del 9,1% del pil come deliberato a fine 2012, solo il 16 per cento arriverà da nuove imposte. In valori assoluti significa che la spesa pubblica rispetto al Pil passerà dal 47% del 2009 al 40% del 2017 con un sacrificio-medio, per ministero, dell'11% (cumulando anche in questo caso i tagli attuati e programmati fra il 2010 e il 2015 n.d.r).

Non c'è bisogno di scomodare i polli di Trilussa per scoprire che il concetto di "medio" è equivoco.«L'approccio adottato - continua Gemma Tetlow - tiene conto di diverse sensibilità. Sanità, pubblica istruzione, fondi statali per la ricerca sono stati protetti con zero tagli, anche se la "tutela" è relativa visto che il congelamento della spesa in un contesto di inflazione al 3% circa comporta una contrazione in termini reali. L'aiuto internazionale è stato aumentato del 34% anche se di un bilancio contenuto. Il taglio più consistente è invece toccato al Community budget che gestisce soprattutto l'edilizia popolare in tutto il Paese: una sforbiciata del 70%. Il ministero dell'Industria e dell'Innovazione ha avuto una riduzione del bilancio del 29% in gran parte a spese dell'educazione universitaria che fa capo a quel ministero e che ormai, di fatto, non ha più finanziamenti diretti dal governo eccetto che per la ricerca». Esempio illuminante, quest'ultimo: le tasse d'iscrizione nelle accademie sono state triplicate dalla mattina alla sera scatenando la rivolta degli studenti. Rivolta intensa, ma per due giorni soli, o poco più, complice la consapevolezza che lo Stato continua a concedere prestiti agevolati per la retta universitaria a tutti coloro che ne fanno domanda (la restituzione avverrà con i futuri stipendi). La conseguenza di tutto ciò è stata una caduta del pubblico impiego che è difficile quantificare con assoluta precisione perché in molti casi le funzioni sono state accorpate, ridistribuite in parte privatizzate.

Ifs suggerisce una versione conservativa che indica una contrazione del 5%, pari a 300mila posti pubblici in meno, mentre i dati ufficiali del servizio di statistica indicano un calo più che doppio (646mila) dal 2010 al 2013 con l'asticella dei public sector workers arrivata a toccare quota 5,67 milioni. Concordano tutti, però, sull'esito finale: quando la revisione di spesa sarà stata ultimata ci saranno un milione di impieghi statali in meno rispetto ai 6,3 milioni del 2010. E forse solo allora i salari pubblici saranno...scongelati. Il prezzo più alto lo pagano le amministrazioni locali in marcia verso la cancellazione di 400 mila posti su due milioni e mezzo. Esercizio che costringe a notevoli sforzi di fantasia, garantendo priorità ai servizi di assistenza sociale primaria (anziani e bambini) e non ad altri come la manutenzione delle strade.

Uno scenario che disegna un'operazione assai più vasta di un "semplice" taglio alle inefficienze e agli sprechi. Londra ha messo in campo un ripensamento globale del rapporto fra Stato e cittadini a cominciare dal welfare rimodellato attorno allo slogan stop al "something for nothing" ovvero alla concessione di sussidi senza niente in cambio - sia sotto forma di formazione o di lavori socialmente utili - da parte del disoccupato. Ridisegnare la relazione Stato-cittadini, superando le alchimie della revisione di spesa, ha una valenza politica evidente, ma soprattutto un esito incontestabile. E non solo per esigenze di bilancio. La dieta imposta allo Stato non ha affatto condannato il Regno di Elisabetta a una prolungata recessione. Anzi. Nonostante i tagli, il pil britannico cresce più rapidamente di qualsiasi altro nell'Ue e con esso cala il malcontento. Se mai c'è stato. A dare retta al sondaggio di Icm per la Bbc la spending review è popolare, capace com'è di raccogliere il plauso di almeno metà degli inglesi convinti che - con l'eccezione di polizia e manutenzione delle strade - i servizi pubblici negli ultimi anni non siano affatto peggiorati.

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