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Questo articolo è stato pubblicato il 30 novembre 2013 alle ore 08:20.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 10:52.

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PARMA. Dal nostro inviato
«L'importante è non cadere nell'autocompiacimento. Perché la critica è importante per vedere i punti deboli su cui lavorare». Non è irrilevante quando a dire queste cose è il vicepresidente di Barilla, un gruppo che a buon diritto può considerarsi uno degli alfieri del made in Italy nel mondo.
Davanti a una platea fatta quasi esclusivamente di giovani Paolo Barilla ha voluto sì parlare di made in Italy, ma abbracciando la visuale dei partecipanti: loro sono il futuro, che si parli del futuro. «Il problema – spiega Barilla – è che se in questo periodo si parla tanto di made in Italy forse qualcosa ci sta sfuggendo. Non bisogna cullarsi sugli allori. Bisogna lavorare e migliorare».

Insomma, un campanello d'allarme (che coinvolge «anche le istituzioni) suonato durante la prima della due giorni, dedicata alla figura di Giambattista Bodoni, nata per iniziativa dell'Osservatorio permanente giovani-editori, guidato da Andrea Ceccherini, e della Fondazione Cariparma, del presidente Paolo Andrei. Un richiamo alla presenza del vicepresidente del Washington Post, Marcus Brauchli che pur soffermandosi sulle tendenze del giornalismo d'Oltreoceano, ha fatto presente che «all'estero appare molta differenza fra la qualità del made in Italy e la classe politica».
La prima giornata dell'iniziativa dedicata a Bodoni ("Il segno italiano. Moderno per tradizione") per il 200esimo anniversario della sua morte è stata l'occasione per cogliere l'esempio di questo antesignano del made in Italy: stampatore, incisore e "designer" di font tipografici.

«Dietro a quel carattere c'è tutto il portato di una cultura artigiana, attenta ai dettagli, che è stata ed è la vera forza del made in Italy», ha spiegato Massimo Vignelli, architetto e designer di fama mondiale. Creatività e artigianalità che però non devono far dimenticare quanto sia «più difficile per chi decide di vivere e lavorare in Italia», come ha detto la designer Marta Bernstein. Ma questa è l'Italia, che tenta i suoi migliori cervelli con il lifestyle e che è anche il Paese in cui più che puntare l'indice sulle aziende che delocalizzano «si dovrebbero risolvere quelle situazioni che spingono le aziende in tal senso», ha aggiunto Paolo Barilla. Che alla domanda di un ragazzo in platea ha detto che il nuovo magazzino automatizzato dell'azienda «avrà necessità di meno manodopera. Ma l'azienda che ha prodotto i robot è di Reggio Emilia. Una realtà che magari avrà bisogno di più manodopera».

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