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Questo articolo è stato pubblicato il 03 dicembre 2013 alle ore 06:44.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 10:59.
Il trasporto pubblico locale è uno spaccato ideale per capire come si muove, quanto spreca, come paralizza lo sviluppo il socialismo municipale italiano che rappresenta forse l'ultimo retaggio della guerra fredda nel nostro Paese, con le sue 7.700 aziende pubbliche e oneri sui contribuenti per 23 miliardi (si veda l'articolo di Marcella Panucci sul Sole 24 Ore del 30 novembre).
Il trasporto è una fetta consistente di questa galassia, con fatturato di 10,3 miliardi coperto per il 75% da risorse pubbliche, 127mila lavoratori, 1.150 aziende quasi tutte piccole e pubbliche, una polverizzazione fotografata dal dato del fatturato cumulato dei tre principali player nazionali (Atac, Atm/Mm e Fs regionali): il 18% sul totale di settore mentre nei grandi paesi Ue (Regno Unito, Francia e Germania) il dato è al 60-75%, con campioni nazionali che vanno a prendersi mercati all'estero. La frammentazione campanilistica non solo è l'arma di difesa del settore pubblico contro ogni tentativo di confronto con il mercato, ma è pure l'ostacolo a qualunque operazione di razionalizzazione interna al pubblico.
I recenti fatti di Genova sono l'ennesima rappresentazione distorta dei servizi pubblici locali. A sentire i protagonisti di Genova - a partire dai "nuovi camalli" che hanno paralizzato la città - il male peggiore per il settore sta nella privatizzazione o anche solo nelle gare per far entrare capitali, aziende, partner nuovi. L'idea che «pubblico è bello» - o, come si dice adesso, che il «bene comune» debba essere gestito dal pubblico - non solo nutre il socialismo municipale nella sua continua espansione a colpi di poltrone, clientele e bilanci in rosso, ma diventa il baluardo dello status quo entro cui la rendita è protetta e non contendibile.
Accade così che il fatturato del trasporto pubblico locale in Italia copra solo il 30% dei costi. In quale altro Paese lo Stato sarebbe disposto a coprire il 70% dei costi di un servizio? Un bel quesito per il commissario alla spending review Cottarelli.
Ma c'è qualcosa di più clamoroso a testimoniare la paralisi che l'ingessatura dell'offerta produce. L'ha messa nero su bianco un recente rapporto dell'ufficio studi della Cassa depositi e prestiti: «circa tre quarti dell'offerta di trasporto pubblico locale resta inutilizzata». Su 40 posti offerti su un bus, su un tram, su una metro, su un treno, 30 restano inutilizzati. Certo, molti di quei 30 sono in realtà utilizzati ma non pagati, ma ai fini dell'inefficienza e del trasferimento sulla collettività di costi non cambia molto.
Immobilismo uguale "rami secchi" che non si possono tagliare: offerta e domanda del Tpl variano, secondo il rapporto Cdp, non oltre il 2% l'anno. Freno per nuove offerte o tecnologie. Il load factor resta a livelli ridicoli: 20% per i bus, 26% per le metropolitane, 21% per le tranvie. Solo per i servizi regionali del gruppo Fs si va oltre, con il 33% di vendita di posti offerti.
L'Alta velocità ha creato molte polemiche pretestuose ma ha insegnato poco: ha cambiato il modo di vivere del Paese, ha risanato i bilanci Fs e oggi consente una piattaforma per investire nel trasporto locale, anche chiedendo risorse al mercato dei capitali. Rompere l'immobilismo e rinnovare drasticamente l'offerta: è l'unica ricetta per riprendersi lo sviluppo che fa il sistema dei trasporti in molti paesi Ue.
Con i «costi storici» lo Stato è arrivato al paradosso di legittimare e incentivare l'immobilismo, cristallizzando l'assegnazione delle risorse sulla base dell'offerta di servizi di 30 anni fa. La soluzione è nei «costi standard»: da alcuni mesi sta lavorando, con il coordinamento del sottosegretario ai Trasporti Erasmo D'Angelis, una commissione cui partecipano anche Ragioneria, Regioni e comuni.
Se i conti sono in rosso, le risorse pubbliche coprono i buchi di bilancio e le aziende non possono autofinanziarsi, non c'è da meravigliarsi che il nostro parco bus sia tra i più vecchi e inquinanti d'Europa: 51.400 bus di cui 24.500 con emissioni ante Euro 3. L'età media dei mezzi è di 11,6 anni, superiore di 7 anni alla media Ue e inferiore solo a Estonia, Bulgaria, Slovacchia e Ungheria. Le immatricolazioni di bus sono passate dalle 2.838 del 2005 a meno di meille nel 2012 contro una media di 6.000 in Francia e 4.400 in Germania.
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