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Questo articolo è stato pubblicato il 04 dicembre 2013 alle ore 07:43.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:00.

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In un anno di svolte per la storia dell'Italia repubblicana sono state edite due importanti narrazioni di contemporaneità bancaria. «La sfida internazionale della Comit» è quasi identica, nella fisionomia, a «Una storia italiana - Dal Banco Ambrosiano a Intesa Sanpaolo» uscita in primavera sempre per il Mulino. Entrambe sono state firmate da accademici: lo storico Carlo Brambilla e l'aziendalista Carlo Bellavite Pellegrini. Ambedue sono imperniate su "testimonianze principali" per buona parte inedite: le memorie di Enrico Braggiotti e quelle di Giovanni Bazoli. Verso tutt'e due i lavori hanno mostrato interesse concreto protagonisti del calibro di Carlo Azeglio Ciampi e Romano Prodi. E' un caso di "passato che non passa"? Oppure è un presente che sta ancora cercando il suo futuro e tenta di sciogliere i nodi della Prima e della Seconda Repubblica bancaria?

La finis della "grande Comit", nel libro di Brambilla, coincide quasi con il ritiro di Braggiotti dalla presidenza, nel 1990: in modo storiograficamente provocatorio. Ciò che è accaduto dopo la fallita «sfida americana» della Commerciale sulla Irving (i vari piani di di scalata all'Ambrosiano, la privatizzazione del 1994, i tentativi di fusione con Credit e Bancaroma, l'Opa ostile di UniCredit del 1999 e l'integrazione finale nel gruppo Intesa) viene inquadrato quasi come appendice, come conseguenza inevitabile delle scelte pubbliche di fine anni '80: l'aver privilegiato la privatizzazione di Mediobanca secondo i desiderata di Enrico Cuccia (ma anche del mondo politico di quella stagione). E se Cuccia diventa dominus "centauro" di un capitalismo «chiuso» viene respinto allora - in Italia prima che negli States - il dream "futurista" di una Comit (di un'Italia ...) che riteneva di potersi misurare alla pari con i big names di Wall Street e del Vecchio Continente.

La stessa «storia italiana» del professor Bazoli - apparentemente più a lieto fine - registra una stessa delusione quando racconta, dapprima, la maturazione dell'amicizia personale fra il banchiere cattolico e il vecchio patron di Via Filodrammatici. Ma dieci anni dopo l'uscita di scena di Braggiotti dalla Comit, neppure Bazoli può nulla contro Mediobanca. Quando Cuccia muore, nell'estate 2000, il primo atto del successore Vincenzo Maranghi è sì lasciare definitivamente la Comit a Intesa, ma al prezzo di troncare "a prescindere" ogni legame di Via Filodrammatici con la futura Intesa Sanpaolo.

Nell'autunno 2013, sullo scacchiere della grande finanza italiana, tutti paiono in ritirata da tutto. Solo per citare i dossier più caldi della cronaca: Intesa e Mediobanca si allontanano dalle Generali; Mediobanca-Generali-Intesa escono da Telecom, non da ultimi i grandi soci di Piazzetta Cuccia "asciugano" il loro patto. I due "campioni nazionali" del credito(Intesa Sanpaolo e UniCredit) sono nel frattempo sotto pressione su mille fronti: dallo spread all'Unione bancaria. Forse non è inutile che due libri dallo stile old abbiano ricordato che di «sfide» e di «storie» è pieno un passato prossimo ancora utilizzabile dell'Italia bancaria: quella che ha vinto la stagflazione (e molto altro) dei duri anni Settanta; quella che ha agganciato l'euro alla fine dei Novanta. Alcune scelte hanno funzionato, altre potevano funzionare. Non hanno mai funzionato quelle che hanno sbarrato la via alle grandi "banche commerciali" del Miglio quadrato milanese.

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