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Questo articolo è stato pubblicato il 05 dicembre 2013 alle ore 12:58.
L'ultima modifica è del 05 dicembre 2013 alle ore 13:22.

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Mettere a punto dispositivi per una detenzione efficace anche in Italia da inserire in un piano carceri ispirato alle Apac potrebbe essere la via verso una soluzione al cronico sovraffollamento delle carceri e alle condizioni di vita dei detenuti che recentemente sono costate all'Italia una sanzione da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo.

Alcuni modelli sono già esistenti anche in Italia
Il lavoro della cooperativa Giotto all'interno della casa di reclusione "Due Palazzi" di Padova, dove sono stati messi in piedi veri e propri progetti imprenditoriali con i detenuti, dimostra come, anche nel nostro Paese, è possibile costruire un'alleanza con imprese istituzioni e organizzazioni per un migliore reinserimento dei detenuti nella società. Anche l'Associazione Papa Giovanni XXIII, attiva in Romagna, ha tentato di importare e adattare al contesto italiano il programma Apac e da diversi anni promuove e sostiene percorsi rieducativi alternativi al carcere, per offrire la possibilità di cambiare stile di vita e smettere di delinquere. "E' necessario che le imprese e il mondo del privato sociale dialoghino e collaborino tra loro e con le istituzioni".

A sostenerlo è Alberto Piatti, presidente della Fondazione Avsi che da anni sostiene il modello Apac in Brasile. "L'esperienza di Apac dimostra proprio l'efficacia di un approccio di questo tipo nel garantire certeza e dignità della pena: attori di buona volontà sono riusciti – conclude Piatti - ad affrontare creativamente una sfida che appariva impossibile, mantenendo sempre al centro la persona e il bene comune". Tuttavia, secondo il presidente di Avsi, la questione della giustizia non riguarda soltanto lo Stato ma piuttosto coinvolge tutta la società.

L'emergenza per il sovraffollamento delle carceri risale a gennaio 2010 quando si registrava un numero di detenuti pari a 64.791 aumentati di 1.894 unità rispetto allo stesso periodo del 2012 quando si è arrivati a quota 66.685 contro i 47 mila posti; contribuendo ad un tasso di affollamento pari al 142,5%: condizioni disumane di carcerazione, in violazione del codice di procedura penale, della Costituzione e delle indicazioni provenienti dall'Europa.

Cosa fanno i detenuti in Brasile
In Brasile il metodo sperimentato dalle Apac è già entrato a far parte dell'impianto ufficiale: sono oltre 3mila i detenuti che vivono nei 40 centri sparsi nel paese e che collaborano con le imprese locali tra cui la Fiat Brasile. "Una pena è efficace solo se in grado di garantire il reale recupero di un condannato ovvero il suo reinserimento in società senza penalizzazioni. Infatti, la professionalità di un giudice non si ferma alla sentenza, ma rientra in una responsabilità più grande cioè quella di garantire la reale efficacia della pena." Lo ha detto il giudice del Consiglio nazionale di Giustizia del Brasile, Luiz Carlos Resende, che ha favorevolmente accolto l'esperienza Apac con l'impegno di istituzionalizzare i centri in Brasile.

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