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Questo articolo è stato pubblicato il 06 dicembre 2013 alle ore 12:31.
L'ultima modifica è del 06 dicembre 2013 alle ore 12:32.

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Per un pugno di persone è tutto oro anche quel che non brilla. L'opacità della filiera dei compro-oro – registrazione dell'acquisto dal privato, fusione della materia, ricondizionamento dell'oggetto usato e fiscalità – sembra ad esempio fatta apposta per spianare la strada a lauti guadagni che arricchiscono pochi negozi e impoveriscono milioni di italiani (nel 2012 uno su quattro, secondo una ricerca Eurispes, ne ha varcato la soglia).
Oro puro, insomma, ma solo per chi apre e chiude saracinesche in una girandola di operazioni commerciali dietro le quali, a volte, c'è una mano criminale che coglie l'ennesimo assist per riciclare denaro sporco e praticare usura. Non che manchino catene serie ed affidabili ma, come sempre accade in questi casi, sono tra le vittime della concorrenza sleale e illegale (si veda Plus del 30 novembre 2013).

La girandola commerciale
Come funziona il meccanismo lo ha spiegato il 5 ottobre 2011, in Commissione parlamentare antimafia, Francesco Tagliente, allora questore di Roma, crocevia vitale del commercio dell'oro legato a criminalità, mafie e riciclaggio. «I compro-oro sono 272, anche se si tratta di un numero fluttuante – spiegò Tagliente – che cambia continuamente, se si considera che ogni titolare ha cinque o sei negozi. Spesso, poi, dopo tre mesi dall'apertura, l'esercizio viene chiuso e ne viene aperto subito dopo un altro, con un ricambio continuo». Il 27 marzo 2012, fu l'allora ministro dell'Interno, Anna Maria Cancellieri, a lanciare in Commissione parlamentare antimafia l'allarme mafia sul commercio e sulla proprietà dei negozi.

Mafie italiane
Gli interessi della 'ndrangheta sui compro-oro emergono, ad esempio, da un'inchiesta della Dda di Milano. Il 10 ottobre 2012 i Carabinieri arrestarono 20 persone «nell'ambito di un'operazione nella quale entrarono – ricorda il generale Giovanni Truglio della Dia - due esponenti della 'ndrangheta del Milanese, uno dei quali, ritenuto referente dei gruppi Mancuso e Di Grillo, con base logistica a Cuggiono, che gestiva di fatto alcune gioiellerie compro-oro in diversi paesi dell'hinterland di Milano. Un'altra indagine, di novembre 2012, ha riguardato un'organizzazione criminale a livello internazionale, con vertice in Svizzera e bracci operativi nei distretti orafi di Arezzo, Marcianise (Caserta) e Valenza (Alessandria), in contatto con una fitta rete di negozi compro-oro e operatori del settore, che stavano alla base della filiera dei traffici di oro di provenienza illecita».

Mafia georgiana
Non ci si può meravigliare se il fenomeno faccia gola anche alla criminalità straniera. È il sostituto procuratore nazionale antimafia Diana de Martino, nella relazione 2012 della Dna, ad accendere i riflettori sulla mafia georgiana, formata da ex militari.

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